Accadde domani. Fra utopia e distopia contiene contributi di Giuseppe Prestipino, Ernesto Screpanti, Teresa Serra, Raniero La Valle, Fabrizio Giovenale, Carla Ravaioli e Enzo Scandurra.
Articolato in due parti, la prima dedicata al tema delle libertà sociali, la seconda dedicata alla tematica ambientalistica, il lavoro è “la risultante di una serie di incontri sia ristretti che pubblici su argomenti di viva attualità” (p. 7), aventi come obiettivo la formulazione di proposte di riforma pensate per i tempi medio-lunghi del futuro, e non la delineazione di percorsi di un’azione riformatrice rapida, “anche se non necessariamente guidata dallo spirito dell’utopia” (p. 7).
Nella prima parte, che riprende il titolo dal nome del gruppo di lavoro: Per una nuova Città del Sole, sono esposti temi riguardanti la fraternità planetaria, che potrebbe concretizzarsi in nuove forme di cittadinanza; il nuovo diritto delle genti, ispirato alla pace perpetua kantiana; ed, infine, il nuovo concetto giuridico-filosofico di bene pubblico, che non può essere identificato tout court con lo statuale o con il sociale. Nella seconda parte, intitolata Limiti naturali, sono affrontanti temi più strettamente legati all’attualità della necessità delle riforme: dalla nuova pianificazione urbanistica, naturalmente legata al problema ecologico; ai rapporti della nostra specie con la natura; ai problemi dell’equilibrio dinamico tra pubblico e privato, al fine di non involvere in una gabbia burocratica d’ispirazione weberiana o di corruzione semi-legalizzata. Questi i temi su cui gli Autori si sono confrontati, al fine di “poter formulare proposte per un futuro non vicino né troppo lontano” (p. 8).
Riferimenti costanti del volume sono i concetti di utopia e distopia, che diventano strumentali per la comprensione delle singole posizioni degli Autori, sebbene il volume non rappresenti una sintesi della letteratura utopico-distopica.
Cos’è l’utopia e cos’è la distopia?
Arrigo Colombo nel suo volume Utopia e distopia evidenzia come il non-luogo, l’utopia, concepita con il prefisso greco “eu”, sia il progetto storico della società giusta e fraterna, ovvero il progetto che l’umanità persegue poieticamente lungo tutta la sua storia. La distopia è, invece, da opporre all’“utopia”, così come il prefisso greco “dys” è l’opposto di “eu”, ovvero rappresenta la contrapposizione tra il male ed il bene. Quindi distopia è un modello di società perversa, costruito rovesciando il topos della società in atto per denudarne il vizio e proiettandolo non come la società buona cui tendere, ma come la società malvagia da cui difendersi. La distopia, in tal senso, non può essere un progetto per l’umanità. Può essere semmai perseguita da un gruppo di potere, da una minoranza oppressiva; ma per l’umanità, per la società, essa resta solo un modello da evitare o da abbattere.
Nella tensione tra quello che dovrebbe essere il modello di Stato da costruire e quello che è l’esempio da cui sfuggire, si concretizza il tentativo di rispondere alla necessità di trovare forme nuove di legittimazione e di organizzazione che forniscano alla realtà statuale ragion d’essere e scopi, e le consentano di realizzare sempre meglio l’uguaglianza, che è patrimonio della democrazia.
La prima parte, come si è accennato, offre una lettura del problema della libertà e delle libertà sociali in un’ottica incentrata sulla contemporaneità e sui suoi problemi sociali, politici ed economici. Si parte dall’attualizzazione della filosofia della libertà, letta nell’ottica del ripensamento dello stato sociale come “l’insieme delle condizioni economiche e politiche che rendono possibile l’estensione della libertà a tutti i cittadini, piuttosto che come di quelle che mirano a ridistribuire il benessere” (Dal benessere alla libertà, Ernesto Screpanti, p. 25), per trasformarla in un modello utopico in cui “la libertà sarà il valore per eccellenza, in primo luogo come sinonimo della dignità di ciascuno” (Giuseppe Prestipino, Il futuro possibile dei beni pubblici, p. 28). Nella costruzione del nuovo ordine politico utopico è necessario e doveroso “assicurare a tutti le stesse possibilità di fare, secondo le attitudini o inclinazioni di ciascuno, e le stesse possibilità di avere, secondo le proprie necessità vitali, culturali, ecc”. (Prestipino, p. 29).
La tensione utopia/distopia, modello a cui tendere/realtà da cui sfuggire, è al centro del saggio di Teresa Serra, Ripensare lo Stato tra teoria e realtà, che rappresenta il cuore del volume, stimolando il lettore a confrontarsi costantemente con la realtà effettuale delle cose alla luce di possibili soluzioni utopico-concrete a nuovi problemi. L’Autrice, in particolare, centra problemi cruciali quali la crisi della sovranità e la costituzione di nuove realtà istituzionali regionali, come l’Unione europea, chiedendosi, di contro, quali funzioni ancora debba e possa svolgere lo stato-nazione. Per far questo, in primo luogo, evidenzia un problema di fondo legato alla natura del modello utopico, che impone un continuo dinamismo del modello stesso, con un continuo adeguamento alla realtà. La sua natura normativa, invece, denuncia sempre e comunque una possibilità di divergenza tra lo Stato come realtà ed apparato funzionante e lo Stato come modello. Sono quindi i modelli distopico-utopici dello Stato apparato/realtà e lo Stato costruzione teorica ad essere continuamente presi in esame e rapportati tra loro. L’analisi di tali modelli viene attualizzata ed effettuata sullo sfondo dell’Unione Europea. Nel caso “Europa”, infatti, la duplice accezione del processo di costituzionalizzazione risponde anche alla distanza che separa la comunità europea da una costituenda società civile europea. Il modello proposto dalla Serra è un modello utopico, nel senso che si tratta di un modello a cui tendere, ma non è astratto, perché attento alle situazioni particolari e consapevole dell’impossibilità di ridurre all’unicum del modello tutti i casi storici. In questo modello elementi fondamentali sono il rispetto e la dignità umana, che esclude la stretta connessione tra diritto e cittadinanza e presuppone la necessità di una coesistenza duale tra una ideologia sopranazionale e una intergovernativa.
Non manca, nel volume, il tentativo di trovare una soluzione al problema religioso attraverso la sua proiezione nell’utopico futuro dell’accadde domani, in cui “ogni popolo ed ogni persona possa comunicare lietamente con gli altri verso il futuro, ognuno con e grazie al suo Dio” (Raniero La Valle, Il divino plurale, p. 84). Raniero La Valle, a dimostrazione della difficoltà di analizzare il presente senza confrontarsi con la letteratura utopica, offre una lettura dell’opera di Tommaso Moro: la “religione” di Utopia prevedeva la possibilità della convivenza di diverse religioni sulla base di una reciproca e pacifica tolleranza. In questa situazione, la legge “utopica” consentirebbe la difesa della libertà e dell’uguaglianza, in quanto intesa non come volontà del potere, ma come volontà senza passione. Pluralità e diversità pertanto traggono la loro garanzia dall’eguaglianza di fronte alla legge che le riporta all’identità, nel rispetto della diversità.
In questo passaggio epocale lo spazio giuridico europeo rischia di collocarsi in una sorta di terra di nessuno, di intermezzo sospeso tra ‘democrazia dell’identità’ e ‘democrazia della differenza’, di cui nelle pagine del volume sono illustrati molteplici esempi, uno per tutti la storia delle donne, in bilico tra filosofia dell’uguaglianza e filosofia della differenza.
La seconda parte del volume, come si è evidenziato all’inizio, indaga su tematiche d’attualità ecologico-politica. Sono analizzati i cambiamenti nei rapporti uomo-terra, soprattutto nella prospettiva dello sfruttamento delle risorse naturali. Particolare attenzione è dedicata alla teorizzazione di uno sviluppo realmente considerato –opposto a quello sconsiderato– dell’umanità, in riferimento alle risorse disponibili e, riguardo a quest’ultime, relativamente alla loro effettiva distribuzione. In questa direzione sono evidenziati alcuni elementi di fondo come la “contraddizione del capitalismo” (Fabrizio Giovenale, Rapporti uomo-terra: che cosa è cambiato, p. 180), della modernizzazione e dell’innovazione. Modernizzazione ed innovazione sono, dunque, analizzate alla luce di un “futuro possibile del vivere-nella-natura” (Giuseppe Prestipino, Equilibri naturali e vitali, p. 193), congiuntamente ad un possibile sviluppo sostenibile nei paesi del terzo mondo, che rappresenta la sfida, politica e non solo, del terzo millennio (Ernesto Screpanti, Quale sviluppo e per chi?).
Come una sorta di conclusione, l’ultimo saggio proposto è in realtà una tavola rotonda virtuale, in cui autori e relatori del gruppo di lavoro confrontano le proprie riflessioni circa le tematiche dell’ambiente e dello sviluppo.
Giuseppe Prestipino e Teresa Serra (a cura di), Accadde domani. Fra utopia e distopia Aracne, Roma 2005, pp. 224.
— Accadde domani. Fra utopia e distopia
martedì febbraio 27, 2007
Roberta FidanziaRacconti longobardi
venerdì dicembre 29, 2006
L'autrice, Michela Torcellan, ci guida lungo il viaggio avventuroso di tre fratelli dell'VIII secolo d.C.
Siamo nel 762, al momento della fine del dominio longobardo in Italia.
La vicenda si svolge seguendo i passi di tre fratelli di nobile stirpe, che per una serie di motivi familiari e dinastici, sono usciti dal mondo ritirandosi a vivere come monaci benedettini.
Due di loro vivono nell’abbazia di San Salvatore sul Monte Amiata, il terzo, invece, nel monastero di San Michele a Pavia.
In seguito alla decisione di destinare le loro eredità, i tre si accordano per incontrarsi a metà strada tra i due monasteri: il paese di destinazione è Nonantola, vicino Modena.
Il viaggio dei primi due fratelli, diventa, per l’autrice, l’occasione per descrivere una Toscana medievale, di un Medioevo che una troppo facile storiografia ha definito come ‘buio’ e ’scuro’.
Il libro si sviluppa, sorprendentemente, come le Mille e una notte, in un alternarsi di storie reali, quelle dei due fratelli e del loro accompagnatore, un giovane monaco inesperto e timoroso, e quelle dei personaggi che incontrano lungo il loro cammino, i quali hanno sempre straordinarie storie da raccontare, che affascinano la fantasia del giovane monaco, e suscitano l’ironia del più maturo abate, il più grande dei due fratelli.
Un libro tutto da leggere nello spiritio di un fantastico medioevo, scritto da un’esperta del settore, Michela Torcellan, che ha avuto questa ispirazione durante le campagne di scavo condotte dalla Soprintendenza e che le hanno reso possibile la scoperta della prima chiesetta triabsidata del monastero benedettino di Sesto al Règhena presso Pordenone.
Michela TORCELLAN, Racconti Longobardi, Firenze Libri, pp. 308.
— Roberta Fidanzia
Siamo nel 762, al momento della fine del dominio longobardo in Italia.
La vicenda si svolge seguendo i passi di tre fratelli di nobile stirpe, che per una serie di motivi familiari e dinastici, sono usciti dal mondo ritirandosi a vivere come monaci benedettini.
Due di loro vivono nell’abbazia di San Salvatore sul Monte Amiata, il terzo, invece, nel monastero di San Michele a Pavia.
In seguito alla decisione di destinare le loro eredità, i tre si accordano per incontrarsi a metà strada tra i due monasteri: il paese di destinazione è Nonantola, vicino Modena.
Il viaggio dei primi due fratelli, diventa, per l’autrice, l’occasione per descrivere una Toscana medievale, di un Medioevo che una troppo facile storiografia ha definito come ‘buio’ e ’scuro’.
Il libro si sviluppa, sorprendentemente, come le Mille e una notte, in un alternarsi di storie reali, quelle dei due fratelli e del loro accompagnatore, un giovane monaco inesperto e timoroso, e quelle dei personaggi che incontrano lungo il loro cammino, i quali hanno sempre straordinarie storie da raccontare, che affascinano la fantasia del giovane monaco, e suscitano l’ironia del più maturo abate, il più grande dei due fratelli.
Un libro tutto da leggere nello spiritio di un fantastico medioevo, scritto da un’esperta del settore, Michela Torcellan, che ha avuto questa ispirazione durante le campagne di scavo condotte dalla Soprintendenza e che le hanno reso possibile la scoperta della prima chiesetta triabsidata del monastero benedettino di Sesto al Règhena presso Pordenone.
Michela TORCELLAN, Racconti Longobardi, Firenze Libri, pp. 308.
Ispirazione religiosa e laicità della politica
venerdì dicembre 22, 2006
Marco Mari, Ispirazione religiosa e laicità della politica. L’esperienza cristiano-sociale di Gerardo Bruni.
Obiettivo dello studio di Marco Mari, Ispirazione religiosa e laicità della politica. L’esperienza cristiano-sociale di Gerardo Bruni, è quello di ricostruire il pensiero filosofico di Bruni sulla base della sua esperienza storica e politica, in un particolare momento della nostra nazione quale fu quello dell’ultima fase della II guerra mondiale e dell’immediato dopoguerra, in cui la ricostruzione socia-le, politica e morale dell’Italia era necessaria ed urgente.
Attraverso l’articolazione del volume in tre parti distinte, ma ben collegate tra loro, Mari riesce ad illustrare e spiegare il pensiero di Gerardo Bruni, sovrapponendolo prima all’esperienza politica del Movimento Cristiano Sociale, di cui Bruni era fondatore e leader politico, e quindi alla concreta re-altà storica contemporanea del filosofo; in secondo luogo evidenziando i punti cardine della formazione del suo pensiero filosofico e, dunque, il suo pensiero politico; in conclusione, rendendolo an-cora più evidente con il riportare una cospicua serie di documenti prodotti dal Movimento a firma di Bruni.
Attraverso la prima analisi storica del Movimento Cristiano Sociale, Mari tende ad evidenziare come questa esperienza fosse per Bruni l’occasione di concretizzare la linea teorica, di matrice scolastica, o meglio neo-scolastica filtrata attraverso l’influenza di Maritain, in ambito politico. In definitiva, per Bruni, si trattava di mettere realmente insieme, in un contesto concreto e tangibile, etica, politica e fede cristiana.
Mari sviluppa l’intero percorso della formazione di Bruni, dal tomismo alla neo-scolastica, evidenziando l’autonomia della politica e dell’etica dalle idee religiose del cattolicesimo, la sua esperienza nel Partito Popolare di Sturzo ed il rapporto tra il concetto di personalismo comunitario ed il socialismo.
Nel pensiero di Bruni, secondo la ricostruzione di Mari, il ruolo della scolastica risulta essere di fondamentale importanza. Questa -lungamente studiata e fatta propria da Bruni-, col suo realismo, può inserirsi ed operare vitalmente all’interno del dibattito politico-sociale contemporaneo, in virtù delle sue idee filosofiche, del suo metodo di ricerca del vero, e non in virtù delle idee religiose del cattolicesimo da essa professato. Solo mantenendo la sua indipendenza intellettuale, la scolastica può cercare un dialogo con correnti filosofiche diverse e può condurre ad una teoria della convivenza. La scolastica per Bruni dev’essere “una filosofia disposta a giocarsi laicamente nella storia, pur senza perdere la propria matrice cristiana, evolvendosi con essa” [p. 81].
Si raffigura, dunque, un rinnovamento della scolastica, con l’adesione alle posizioni maritaianiane . Nel pensiero di Bruni, emerge, dunque, quel concetto di uomo, di società, che viene definito dal Mari come umanesimo socialista, derivante dal tentativo, che Bruni compie sulla scorta dell’interpretazione di Maritain, di attualizzare la neoscolastica, per metterla in rapporto dialogante con il mondo politico contemporaneo.
Si tratta, quindi, di un rinnovamento della scolastica, un tentativo di coniugare progresso e tradizione. La ragione che Dio dà all’uomo, nel crearlo, svela determinate verità dell’ordine ontologico e morale, e queste costituiranno la sua guida infallibile. Dalle verità eterne e dalle verità frutto di un pensiero nella storia, presenti nella storia del pensiero, l’uomo può dedurre altre verità, perché la storia oltre che magistra vitae è anche magistra veritatis [p. 82].
Scrive Mari: “Vi è […] da parte di Bruni la necessità realistica che il pensiero, la filosofia, possano incidere sulla qualità della vita e, per fare ciò, l’intreccio fra piano filosofico-teoretico, piano politi-co-sociale ed il piano religioso, pur nel rispetto delle rispettive peculiarità ed autonomie, è inevitabile” [pp. 85-86].
Il problema da risolvere su un terreno speculativo era quello del rapporto religione-politica e andava risolto affermando la distinzione e l’autonomia sul piano dell’azione, ma non dell’ispirazione. Distinzione che si traduce, sul piano operativo, per la Chiesa cattolica nella sola possibilità di chiedere al potere politico, un ambiente di libertà dove poter liberamente svolgere la propria missione spirituale [pp. 89-90].
Erede più fedele del popolarismo sturziano, Bruni ha ben chiari i limiti di un discorso filosofico-politico di matrice cristiana [p. 92].
La sua politica si definisce cristiana, perché aspira ad “incarnare storicamente i valori espressi dall’etica cristiana”, ma “non ha la certezza, né lo pretende, di esaurire in sé una fede o di esserne la giusta trasposizione storica”. È una politica che, “sapendo che non è possibile scindere la fede dalla politica, cerca comunque nell’etica l’ispirazione per la propria azione” [pp. 92-93].
Quello di Bruni fu il tentativo di costruire un progetto di socialismo cristiano. Il suo pensiero si sviluppa in una duplice prospettiva: personalista e comunitaria. Personalista perché centrata sulla persona, sulla sua dignità e sul suo sviluppo armonico. Comunitaria perché volta alla costruzione di un ordine sociale nuovo, più equo e meno conflittuale. L’orizzonte collettivo di cui parla Bruni non è la massa indifferenziata, né la classe, né lo Stato, ma è la comunità. Comunità che diventa, dunque, un ideale collettivo in cui i vincoli fra le persone sono molto forti, ma non in virtù della coercizione o di regole formali, bensì in nome di una comunione di sentimenti, di una solidarietà che rende fratelli Scrive Bruni nella conferenza Il nostro socialismo: “Il Partito cristiano-sociale è restato sempre fedele al socialismo della persona, contro l’individualismo liberale e contro il socialismo della classe. Il nostro socialismo vuole essere, nella sua essenza, educatore” [pp. 95-96].
Attraverso queste premesse, Mari giunge ad esplicare la propria visione cristiano-sociale, anche in questo caso analizzandone punto per punto le linee teoriche.
Il primo tassello della costruzione teorica di Bruni è il rapporto tra cristiani e società. La visione cri-stiano-sociale di Bruni, che s’inserisce nella consolidata tradizione del pensiero cristiano, che è appunto il comunitarismo, e raggiunge i suoi ultimi sviluppi con il personalismo, può definirsi un “mix organico e originale di tre grandi esperienze: quella neotomista, quella popolare e quella personalista e comunitaria, esperienze dove il punto comune è la fede” [p. 98]. La fede è vista come la luce che illumina l’azione, azione che, a sua volta, non può essere pura forma o puro formalismo o confessionalismo politico. La concezione di uno stato laico e democratico, nel quale convivono diverse forme religiose e culturali, richiede di agire da cristiani, ma cristiani laici, ovvero nel rispetto completo della diversità dell’altro. Sulla scia di Maritain per Bruni la politica cristiana è l’unica vera politica, perché non è una politica confessionale, né clericale, è politica del bene comune, “del bene di tutti per l’uguaglianza di tutti” [p. 100].
Per dare maggior fondamento alla sua interpretazione teorica, Bruni, analizzando il liberalismo ed il collettivismo, da un punto di vista anche storico, arriva a delineare i suoi concetti di società, Stato e bene comune.
Probabilmente il merito storico del liberalismo è stato quello di affermare il valore universale dell’individuo al di là di ogni razza, nazione e classe. Ma questo ha avuto un limite nel concepire la libertà esclusivamente in funzione soggettivistica.
Il limite speculativo e morale del liberalismo è stato quello di non comprendere che l’esistenza dell’individuo è -con probabile richiamo al “con-essere” di Heidegger- una “esistenza con” ed è in questa realtà di relazione che va verificato e promosso l’effettivo valore della libertà.
Il limite strutturale e morale dello Stato collettivista dei regimi totalitari è che esso non può assumere una funzione etica. Questo presupporrebbe che non fosse un’entità nata per conseguire un ideale, dunque un mezzo, ma, al contrario, che fosse un’entità prima, un ideale in sé, cioè un fine. Lo Stato non può essere un fine in sé in quanto è solo un mezzo per realizzare la socialitas [pp. 104-105].
Al centro della filosofia politica di Bruni, dunque, vi è la società. “Per società s’intende una unione di più; pluralità e unità costituiscono gli elementi della società. Esistono varie specie di unità; ma quella che entra nel concetto di società, non è l’unità che risulta dalla fusione dell’essere dei membri, ma dalla semplice unione del loro operare. La società umana […] dovrà avere per iscopo un bene comune come risultante di un “operare comune”. Il che implica necessariamente che tale comunanza non si ottiene senza una unione subbiettiva e senza unione obbiettiva; e cioè, senza un oggetto, scopo o bene comune verso il quale sia diretta coscientemente l’opera comune dei membri della società” [pp. 106-107]. Dunque, ‘bene comune’: ‘bene’, che implica di per sé una valutazione qualitativa, e ‘comune’, ovvero un bene diffuso a tutti i membri della società [p. 108].
Non considerando quale elemento centrale la massa, ma lasciando intatto l’individuo nel rapporto con l’altro, Bruni mette in evidenza il primato della persona umana. Per fondare, quindi, la propria visione politica, Bruni parte dalla concezione antropologica dell’uomo: “È l’uomo il senso di tutto il vivere sociale. La socialità ha senso in funzione dell’uomo, dunque è nell’uomo, inteso come unità di spirito e materia, che deve essere posto il centro sia dell’attività politica sia dell’attività sociale” [p. 109].
L’essere umano, per Bruni, risulta dall’unione del corpo e dell’intelletto. Ma come si sviluppa questa unione? Né nel senso materialista, ovvero di una confusione dei due elementi; né nel senso platonico di una netta separazione. Bruni riprende la concezione aristotelica della “semplice distinzione del corpo e dell’anima umana” [p. 10]. Di conseguenza non va dimenticato l’elemento spirituale, ovvero la salvezza eterna, ma non va dimenticato nemmeno l’elemento materiale della vita. “Per questo per il cristiano non c’è separazione tra cielo e terra” [p. 110].
La scienza politica del cristiano sarà, quindi, quella che gli detterà norme e principi per il persegui-mento del bene comune, temporale e materiale, ma subordinatamente alle regole della vita eterna. Sarà dunque “scienza […] unitaria, che nella nozione del Sommo Bene trova il suo principio unificatore” [p. 110].
I cardini del pensiero personalista sono, dunque, approfonditi da Bruni nel senso di un’originale interpretazione dell’intelletto. Con gli strumenti ricavati dal personalismo e dalla sua riflessione sull’essere umano, Bruni elabora una critica al socialismo reale marxista. Tre sono i punti fondamentali di tale critica: l’ateismo, lo statalismo, il dogmatismo con cui vengono proposte le dottrine marxiste.
A proposito del comunismo Bruni scrive: “noi siamo anticomunisti perché rinneghiamo l’anima materialista dell’ideologia comunista; perché rinneghiamo l’odio di classe -pur non disertando la lotta- e la dittatura classista. Perché il comunismo è un credo, una religione, opposta alla natura della persona umana quale è da noi concepita. Perché – in altre parole – è antipersonalista e, in pari tempo, coi suoi metodi di violenza e con le sue forme di collettivizzazione diretta da parte dei poteri pubblici, è incapace di realizzare una “comunità” di lavoratori vera e propria” [pp. 113-114].
Da qui il rilievo che i fondamenti cristiani del personalismo occupano nel pensiero politico di Bruni. Questo è la religione di un Dio che si fa uomo e che come uomo vive l’esistenza. Il Dio del Cristianesimo è un Dio vicino, che condivide la condizione umana. Per questo il Cristianesimo, scrive Mari “pur affermando doverosamente il primato dello spirituale, non deve mai dimenticare che è la religione di un Dio che sta in mezzo agli uomini, che si interessa degli uomini al punto da farsi come loro e che come loro lavora, un Dio che rifugge i potenti ma che è amico degli umili e degli oppres-si” [p. 115].
Di rilievo risulta, a questo punto, l’analisi della “mediocrità economica”, che caratterizza il pensiero di Bruni sui temi del lavoro e della proprietà.
La mediocrità economica è la condizione in cui l’uomo, sebbene riconosca che l’influenza delle condizioni materiali, non si esaurisce in esse: “vi è e vi deve essere nella vita dell’uomo un primato dello spirituale sul materiale” [p. 118].
Gli elementi cardini del pensiero economico di Bruni sono evidenziati da Mari in questi tre punti fondamentali:
- primato del lavoro sul capitale, ovvero affermazione della sovranità del lavoro, ma non consequenziale affermazione del parassitismo sociale;
- primato della responsabilità personale;
- primato del servizio del bene comune sul profitto.
Quella auspicata da Bruni è un’economia centrata sulla piccola proprietà da lavorare e, riguardo all’industria, centrata sulla socializzazione dei mezzi di produzione, ovvero non statalizzazione comunistica che crea un capitalismo di Stato, ma una partecipazione dei lavoratori alla proprietà dei mezzi di produzione [p. 119].
Riguardo alla proprietà privata, Mari evidenzia, nel pensiero di Bruni, la ripresa del pensiero di Pio XII e di san Tommaso, in particolare nell’affermare “che tutti gli uomini posseggono di usare dei beni materiali. Questo diritto d’uso domina tutti gli altri in economia, da quello di proprietà privata, a quello di commercio o di intervento dei poteri pubblici nell’ambito dei beni economici. […] Il capitalismo ha rarefatto la proprietà privata, il comunismo statolatria ha cercato di abolirla, il nuovo ordinamento cui punta Bruni è invece teso alla massima diffusione della proprietà, una proprietà talmente diffusa da diventare davvero di tutti e cioè tale da perdere sempre più la propria connotazione di privata per assumere sempre più quella di proprietà sociale” [pp. 120-121].
In quest’ottica s’inserisce anche la concezione del decentramento amministrativo e politico: di contro alla statalizzazione, alla sopraffazione dello Stato collettivo nei confronti dell’individuo, Bruni oppone la comunità. Una comunità di cui l’uomo possa sentire veramente ed interiormente di appartenere. Questo implica, politicamente, la creazione di organismi indipendenti tra loro, maggiormente articolati e territorialmente limitati, la cui autonomia “farebbe da utile contrappeso all’autorità della Regione, in quanto questa autorità verrebbe a essere ristretta alla sola funzione coordinatrice dei diversi enti autarchici compresi nella sua giurisdizione e non intralcerebbe il necessario movimento centripeto dello Stato” [p. 122-125].
L’elemento della laicità dello Stato torna in evidenza nell’analisi del significato dei Patti Lateranen-si. Di nuovo, dunque, da un evento storicamente concreto, Bruni, trae lo spunto per indicazioni teo-riche.
Bruni rifiuta la Chiesa politicizzata e la politica clericalizzata. Questo implica una presa di coscienza dei motivi teorici dell’autonomia del temporale storico, già a suo tempo teorizzata, che deve avere lo sfogo concreto in un’autonomia dell’azione politica dei cristiani nei riguardi della Chiesa, senza dover “rinunciare alla religiosità dello Stato e alla promozione di una società cristiana ma nell’aspirazione a costituire uno Stato aconfessionale” [p. 126]. Cardine di questa elaborazione teorica è il tomismo interpretato da Maritain. Un tomismo, quindi, aperto al dialogo ed al confronto. La laicità di Maritain è intesa come “autodirezione dell’ordine politico, autodirezione che deve essere praticata e messa in atto non solo nei confronti degli Stati o delle Chiese ma anche dei sistemi ideologici. […] Pretendere di far adottare dallo Stato nella sua totalità l’ideologia cattolica o marxista significherebbe introdurre nella vita politica degli elementi di turbamento, che la politica, di sua natura, non può sopportare” [p. 127].
Instaurare un regime veramente fondato su basi di uguaglianza, senza adottare una legislazione di favore verso la confessione cattolica, ma riconoscendo la stratificazione culturale cattolica della società italiana, di contro al dogmatismo ateo di socialisti e comunisti, è per Bruni l’unico modo di salvare l’essenza del cristianesimo, avendo la consapevolezza che politica e religione operano su due piani distinti [pp. 128-129].
Nel paragrafo sulla neutralità dello Stato, Mari chiarisce ulteriormente il concetto di laicità dello Stato, giungendo alla conclusione, poco prima anticipata: “Lo Stato per essere di tutti non deve cre-are situazioni di privilegio per nessuna Chiesa. Tuttavia Stato aconfessionale non significa Stato agnostico. L’identità italiana vede nel cristianesimo la fonte di una sensibilità verso l’uomo e i suoi diritti che il “bigottismo laico” non può ignorare, dunque uno Stato democratico custode della libertà e della dignità della persona, pur nella sua laicità, si può dire orientato verso il cristianesimo” [p. 132].
Senza soffermarsi ulteriormente sulla formazione del suo pensiero, si può dire, in conclusione, sulla base del lavoro di Mari, che il socialismo cristiano di Bruni diventa quindi un umanesimo socialista, un umanesimo di libertà, giustizia e fraternità, un umanesimo, integrale, etico, pluralista, personalista e comunitario che riconosca come legittimi i valori spirituali e esigenze materiali. E la passione verso il bene diventa la ragione autentica capace di unire “uomini di culture diverse verso un comune traguardo, meta di ogni vera grande politica sinceramente al servizio dell’uomo”. Il comune traguardo, ovvero nel suo pensiero conversione sulla verità è molto difficile, ma è un passaggio neces-sario per arrivare “dalla verità dei principi in sé alla verità nella storia”. E il cristianesimo di Bruni è sempre evidente nel suo pensiero. L’uomo è insieme materia e spirito; è non dimenticare che egli vive sempre due dimensioni. La chiave per una politica davvero a servizio dell’uomo. È un “uomo concreto che sperimenta la sua sete di trascendenza continuando tuttavia a vivere nel contempo an-che la propria materialità. Questo è il senso della politica, della buona politica, che è innanzitutto testimonianza, attraverso i fatti, di valori” [pp. 144-148].
Roberta Fidanzia
Marco Mari, Ispirazione religiosa e laicità della politica. L’esperienza cristiano-sociale di Gerardo Bruni. Edizioni Associate. Roma 2004.
— Roberta Fidanzia
Obiettivo dello studio di Marco Mari, Ispirazione religiosa e laicità della politica. L’esperienza cristiano-sociale di Gerardo Bruni, è quello di ricostruire il pensiero filosofico di Bruni sulla base della sua esperienza storica e politica, in un particolare momento della nostra nazione quale fu quello dell’ultima fase della II guerra mondiale e dell’immediato dopoguerra, in cui la ricostruzione socia-le, politica e morale dell’Italia era necessaria ed urgente.
Attraverso l’articolazione del volume in tre parti distinte, ma ben collegate tra loro, Mari riesce ad illustrare e spiegare il pensiero di Gerardo Bruni, sovrapponendolo prima all’esperienza politica del Movimento Cristiano Sociale, di cui Bruni era fondatore e leader politico, e quindi alla concreta re-altà storica contemporanea del filosofo; in secondo luogo evidenziando i punti cardine della formazione del suo pensiero filosofico e, dunque, il suo pensiero politico; in conclusione, rendendolo an-cora più evidente con il riportare una cospicua serie di documenti prodotti dal Movimento a firma di Bruni.
Attraverso la prima analisi storica del Movimento Cristiano Sociale, Mari tende ad evidenziare come questa esperienza fosse per Bruni l’occasione di concretizzare la linea teorica, di matrice scolastica, o meglio neo-scolastica filtrata attraverso l’influenza di Maritain, in ambito politico. In definitiva, per Bruni, si trattava di mettere realmente insieme, in un contesto concreto e tangibile, etica, politica e fede cristiana.
Mari sviluppa l’intero percorso della formazione di Bruni, dal tomismo alla neo-scolastica, evidenziando l’autonomia della politica e dell’etica dalle idee religiose del cattolicesimo, la sua esperienza nel Partito Popolare di Sturzo ed il rapporto tra il concetto di personalismo comunitario ed il socialismo.
Nel pensiero di Bruni, secondo la ricostruzione di Mari, il ruolo della scolastica risulta essere di fondamentale importanza. Questa -lungamente studiata e fatta propria da Bruni-, col suo realismo, può inserirsi ed operare vitalmente all’interno del dibattito politico-sociale contemporaneo, in virtù delle sue idee filosofiche, del suo metodo di ricerca del vero, e non in virtù delle idee religiose del cattolicesimo da essa professato. Solo mantenendo la sua indipendenza intellettuale, la scolastica può cercare un dialogo con correnti filosofiche diverse e può condurre ad una teoria della convivenza. La scolastica per Bruni dev’essere “una filosofia disposta a giocarsi laicamente nella storia, pur senza perdere la propria matrice cristiana, evolvendosi con essa” [p. 81].
Si raffigura, dunque, un rinnovamento della scolastica, con l’adesione alle posizioni maritaianiane . Nel pensiero di Bruni, emerge, dunque, quel concetto di uomo, di società, che viene definito dal Mari come umanesimo socialista, derivante dal tentativo, che Bruni compie sulla scorta dell’interpretazione di Maritain, di attualizzare la neoscolastica, per metterla in rapporto dialogante con il mondo politico contemporaneo.
Si tratta, quindi, di un rinnovamento della scolastica, un tentativo di coniugare progresso e tradizione. La ragione che Dio dà all’uomo, nel crearlo, svela determinate verità dell’ordine ontologico e morale, e queste costituiranno la sua guida infallibile. Dalle verità eterne e dalle verità frutto di un pensiero nella storia, presenti nella storia del pensiero, l’uomo può dedurre altre verità, perché la storia oltre che magistra vitae è anche magistra veritatis [p. 82].
Scrive Mari: “Vi è […] da parte di Bruni la necessità realistica che il pensiero, la filosofia, possano incidere sulla qualità della vita e, per fare ciò, l’intreccio fra piano filosofico-teoretico, piano politi-co-sociale ed il piano religioso, pur nel rispetto delle rispettive peculiarità ed autonomie, è inevitabile” [pp. 85-86].
Il problema da risolvere su un terreno speculativo era quello del rapporto religione-politica e andava risolto affermando la distinzione e l’autonomia sul piano dell’azione, ma non dell’ispirazione. Distinzione che si traduce, sul piano operativo, per la Chiesa cattolica nella sola possibilità di chiedere al potere politico, un ambiente di libertà dove poter liberamente svolgere la propria missione spirituale [pp. 89-90].
Erede più fedele del popolarismo sturziano, Bruni ha ben chiari i limiti di un discorso filosofico-politico di matrice cristiana [p. 92].
La sua politica si definisce cristiana, perché aspira ad “incarnare storicamente i valori espressi dall’etica cristiana”, ma “non ha la certezza, né lo pretende, di esaurire in sé una fede o di esserne la giusta trasposizione storica”. È una politica che, “sapendo che non è possibile scindere la fede dalla politica, cerca comunque nell’etica l’ispirazione per la propria azione” [pp. 92-93].
Quello di Bruni fu il tentativo di costruire un progetto di socialismo cristiano. Il suo pensiero si sviluppa in una duplice prospettiva: personalista e comunitaria. Personalista perché centrata sulla persona, sulla sua dignità e sul suo sviluppo armonico. Comunitaria perché volta alla costruzione di un ordine sociale nuovo, più equo e meno conflittuale. L’orizzonte collettivo di cui parla Bruni non è la massa indifferenziata, né la classe, né lo Stato, ma è la comunità. Comunità che diventa, dunque, un ideale collettivo in cui i vincoli fra le persone sono molto forti, ma non in virtù della coercizione o di regole formali, bensì in nome di una comunione di sentimenti, di una solidarietà che rende fratelli Scrive Bruni nella conferenza Il nostro socialismo: “Il Partito cristiano-sociale è restato sempre fedele al socialismo della persona, contro l’individualismo liberale e contro il socialismo della classe. Il nostro socialismo vuole essere, nella sua essenza, educatore” [pp. 95-96].
Attraverso queste premesse, Mari giunge ad esplicare la propria visione cristiano-sociale, anche in questo caso analizzandone punto per punto le linee teoriche.
Il primo tassello della costruzione teorica di Bruni è il rapporto tra cristiani e società. La visione cri-stiano-sociale di Bruni, che s’inserisce nella consolidata tradizione del pensiero cristiano, che è appunto il comunitarismo, e raggiunge i suoi ultimi sviluppi con il personalismo, può definirsi un “mix organico e originale di tre grandi esperienze: quella neotomista, quella popolare e quella personalista e comunitaria, esperienze dove il punto comune è la fede” [p. 98]. La fede è vista come la luce che illumina l’azione, azione che, a sua volta, non può essere pura forma o puro formalismo o confessionalismo politico. La concezione di uno stato laico e democratico, nel quale convivono diverse forme religiose e culturali, richiede di agire da cristiani, ma cristiani laici, ovvero nel rispetto completo della diversità dell’altro. Sulla scia di Maritain per Bruni la politica cristiana è l’unica vera politica, perché non è una politica confessionale, né clericale, è politica del bene comune, “del bene di tutti per l’uguaglianza di tutti” [p. 100].
Per dare maggior fondamento alla sua interpretazione teorica, Bruni, analizzando il liberalismo ed il collettivismo, da un punto di vista anche storico, arriva a delineare i suoi concetti di società, Stato e bene comune.
Probabilmente il merito storico del liberalismo è stato quello di affermare il valore universale dell’individuo al di là di ogni razza, nazione e classe. Ma questo ha avuto un limite nel concepire la libertà esclusivamente in funzione soggettivistica.
Il limite speculativo e morale del liberalismo è stato quello di non comprendere che l’esistenza dell’individuo è -con probabile richiamo al “con-essere” di Heidegger- una “esistenza con” ed è in questa realtà di relazione che va verificato e promosso l’effettivo valore della libertà.
Il limite strutturale e morale dello Stato collettivista dei regimi totalitari è che esso non può assumere una funzione etica. Questo presupporrebbe che non fosse un’entità nata per conseguire un ideale, dunque un mezzo, ma, al contrario, che fosse un’entità prima, un ideale in sé, cioè un fine. Lo Stato non può essere un fine in sé in quanto è solo un mezzo per realizzare la socialitas [pp. 104-105].
Al centro della filosofia politica di Bruni, dunque, vi è la società. “Per società s’intende una unione di più; pluralità e unità costituiscono gli elementi della società. Esistono varie specie di unità; ma quella che entra nel concetto di società, non è l’unità che risulta dalla fusione dell’essere dei membri, ma dalla semplice unione del loro operare. La società umana […] dovrà avere per iscopo un bene comune come risultante di un “operare comune”. Il che implica necessariamente che tale comunanza non si ottiene senza una unione subbiettiva e senza unione obbiettiva; e cioè, senza un oggetto, scopo o bene comune verso il quale sia diretta coscientemente l’opera comune dei membri della società” [pp. 106-107]. Dunque, ‘bene comune’: ‘bene’, che implica di per sé una valutazione qualitativa, e ‘comune’, ovvero un bene diffuso a tutti i membri della società [p. 108].
Non considerando quale elemento centrale la massa, ma lasciando intatto l’individuo nel rapporto con l’altro, Bruni mette in evidenza il primato della persona umana. Per fondare, quindi, la propria visione politica, Bruni parte dalla concezione antropologica dell’uomo: “È l’uomo il senso di tutto il vivere sociale. La socialità ha senso in funzione dell’uomo, dunque è nell’uomo, inteso come unità di spirito e materia, che deve essere posto il centro sia dell’attività politica sia dell’attività sociale” [p. 109].
L’essere umano, per Bruni, risulta dall’unione del corpo e dell’intelletto. Ma come si sviluppa questa unione? Né nel senso materialista, ovvero di una confusione dei due elementi; né nel senso platonico di una netta separazione. Bruni riprende la concezione aristotelica della “semplice distinzione del corpo e dell’anima umana” [p. 10]. Di conseguenza non va dimenticato l’elemento spirituale, ovvero la salvezza eterna, ma non va dimenticato nemmeno l’elemento materiale della vita. “Per questo per il cristiano non c’è separazione tra cielo e terra” [p. 110].
La scienza politica del cristiano sarà, quindi, quella che gli detterà norme e principi per il persegui-mento del bene comune, temporale e materiale, ma subordinatamente alle regole della vita eterna. Sarà dunque “scienza […] unitaria, che nella nozione del Sommo Bene trova il suo principio unificatore” [p. 110].
I cardini del pensiero personalista sono, dunque, approfonditi da Bruni nel senso di un’originale interpretazione dell’intelletto. Con gli strumenti ricavati dal personalismo e dalla sua riflessione sull’essere umano, Bruni elabora una critica al socialismo reale marxista. Tre sono i punti fondamentali di tale critica: l’ateismo, lo statalismo, il dogmatismo con cui vengono proposte le dottrine marxiste.
A proposito del comunismo Bruni scrive: “noi siamo anticomunisti perché rinneghiamo l’anima materialista dell’ideologia comunista; perché rinneghiamo l’odio di classe -pur non disertando la lotta- e la dittatura classista. Perché il comunismo è un credo, una religione, opposta alla natura della persona umana quale è da noi concepita. Perché – in altre parole – è antipersonalista e, in pari tempo, coi suoi metodi di violenza e con le sue forme di collettivizzazione diretta da parte dei poteri pubblici, è incapace di realizzare una “comunità” di lavoratori vera e propria” [pp. 113-114].
Da qui il rilievo che i fondamenti cristiani del personalismo occupano nel pensiero politico di Bruni. Questo è la religione di un Dio che si fa uomo e che come uomo vive l’esistenza. Il Dio del Cristianesimo è un Dio vicino, che condivide la condizione umana. Per questo il Cristianesimo, scrive Mari “pur affermando doverosamente il primato dello spirituale, non deve mai dimenticare che è la religione di un Dio che sta in mezzo agli uomini, che si interessa degli uomini al punto da farsi come loro e che come loro lavora, un Dio che rifugge i potenti ma che è amico degli umili e degli oppres-si” [p. 115].
Di rilievo risulta, a questo punto, l’analisi della “mediocrità economica”, che caratterizza il pensiero di Bruni sui temi del lavoro e della proprietà.
La mediocrità economica è la condizione in cui l’uomo, sebbene riconosca che l’influenza delle condizioni materiali, non si esaurisce in esse: “vi è e vi deve essere nella vita dell’uomo un primato dello spirituale sul materiale” [p. 118].
Gli elementi cardini del pensiero economico di Bruni sono evidenziati da Mari in questi tre punti fondamentali:
- primato del lavoro sul capitale, ovvero affermazione della sovranità del lavoro, ma non consequenziale affermazione del parassitismo sociale;
- primato della responsabilità personale;
- primato del servizio del bene comune sul profitto.
Quella auspicata da Bruni è un’economia centrata sulla piccola proprietà da lavorare e, riguardo all’industria, centrata sulla socializzazione dei mezzi di produzione, ovvero non statalizzazione comunistica che crea un capitalismo di Stato, ma una partecipazione dei lavoratori alla proprietà dei mezzi di produzione [p. 119].
Riguardo alla proprietà privata, Mari evidenzia, nel pensiero di Bruni, la ripresa del pensiero di Pio XII e di san Tommaso, in particolare nell’affermare “che tutti gli uomini posseggono di usare dei beni materiali. Questo diritto d’uso domina tutti gli altri in economia, da quello di proprietà privata, a quello di commercio o di intervento dei poteri pubblici nell’ambito dei beni economici. […] Il capitalismo ha rarefatto la proprietà privata, il comunismo statolatria ha cercato di abolirla, il nuovo ordinamento cui punta Bruni è invece teso alla massima diffusione della proprietà, una proprietà talmente diffusa da diventare davvero di tutti e cioè tale da perdere sempre più la propria connotazione di privata per assumere sempre più quella di proprietà sociale” [pp. 120-121].
In quest’ottica s’inserisce anche la concezione del decentramento amministrativo e politico: di contro alla statalizzazione, alla sopraffazione dello Stato collettivo nei confronti dell’individuo, Bruni oppone la comunità. Una comunità di cui l’uomo possa sentire veramente ed interiormente di appartenere. Questo implica, politicamente, la creazione di organismi indipendenti tra loro, maggiormente articolati e territorialmente limitati, la cui autonomia “farebbe da utile contrappeso all’autorità della Regione, in quanto questa autorità verrebbe a essere ristretta alla sola funzione coordinatrice dei diversi enti autarchici compresi nella sua giurisdizione e non intralcerebbe il necessario movimento centripeto dello Stato” [p. 122-125].
L’elemento della laicità dello Stato torna in evidenza nell’analisi del significato dei Patti Lateranen-si. Di nuovo, dunque, da un evento storicamente concreto, Bruni, trae lo spunto per indicazioni teo-riche.
Bruni rifiuta la Chiesa politicizzata e la politica clericalizzata. Questo implica una presa di coscienza dei motivi teorici dell’autonomia del temporale storico, già a suo tempo teorizzata, che deve avere lo sfogo concreto in un’autonomia dell’azione politica dei cristiani nei riguardi della Chiesa, senza dover “rinunciare alla religiosità dello Stato e alla promozione di una società cristiana ma nell’aspirazione a costituire uno Stato aconfessionale” [p. 126]. Cardine di questa elaborazione teorica è il tomismo interpretato da Maritain. Un tomismo, quindi, aperto al dialogo ed al confronto. La laicità di Maritain è intesa come “autodirezione dell’ordine politico, autodirezione che deve essere praticata e messa in atto non solo nei confronti degli Stati o delle Chiese ma anche dei sistemi ideologici. […] Pretendere di far adottare dallo Stato nella sua totalità l’ideologia cattolica o marxista significherebbe introdurre nella vita politica degli elementi di turbamento, che la politica, di sua natura, non può sopportare” [p. 127].
Instaurare un regime veramente fondato su basi di uguaglianza, senza adottare una legislazione di favore verso la confessione cattolica, ma riconoscendo la stratificazione culturale cattolica della società italiana, di contro al dogmatismo ateo di socialisti e comunisti, è per Bruni l’unico modo di salvare l’essenza del cristianesimo, avendo la consapevolezza che politica e religione operano su due piani distinti [pp. 128-129].
Nel paragrafo sulla neutralità dello Stato, Mari chiarisce ulteriormente il concetto di laicità dello Stato, giungendo alla conclusione, poco prima anticipata: “Lo Stato per essere di tutti non deve cre-are situazioni di privilegio per nessuna Chiesa. Tuttavia Stato aconfessionale non significa Stato agnostico. L’identità italiana vede nel cristianesimo la fonte di una sensibilità verso l’uomo e i suoi diritti che il “bigottismo laico” non può ignorare, dunque uno Stato democratico custode della libertà e della dignità della persona, pur nella sua laicità, si può dire orientato verso il cristianesimo” [p. 132].
Senza soffermarsi ulteriormente sulla formazione del suo pensiero, si può dire, in conclusione, sulla base del lavoro di Mari, che il socialismo cristiano di Bruni diventa quindi un umanesimo socialista, un umanesimo di libertà, giustizia e fraternità, un umanesimo, integrale, etico, pluralista, personalista e comunitario che riconosca come legittimi i valori spirituali e esigenze materiali. E la passione verso il bene diventa la ragione autentica capace di unire “uomini di culture diverse verso un comune traguardo, meta di ogni vera grande politica sinceramente al servizio dell’uomo”. Il comune traguardo, ovvero nel suo pensiero conversione sulla verità è molto difficile, ma è un passaggio neces-sario per arrivare “dalla verità dei principi in sé alla verità nella storia”. E il cristianesimo di Bruni è sempre evidente nel suo pensiero. L’uomo è insieme materia e spirito; è non dimenticare che egli vive sempre due dimensioni. La chiave per una politica davvero a servizio dell’uomo. È un “uomo concreto che sperimenta la sua sete di trascendenza continuando tuttavia a vivere nel contempo an-che la propria materialità. Questo è il senso della politica, della buona politica, che è innanzitutto testimonianza, attraverso i fatti, di valori” [pp. 144-148].
Roberta Fidanzia
Marco Mari, Ispirazione religiosa e laicità della politica. L’esperienza cristiano-sociale di Gerardo Bruni. Edizioni Associate. Roma 2004.
Medio & Evo
giovedì dicembre 14, 2006
Il sito web Medio & Evo ha compiuto i suoi primi 6 anni.
Il sito è stato ideato, curato ed è tuttora gestito da Claudio Attardi, ricercatore indipendente, che vanta numerosissime pubblicazioni, molte delle quali anche in Storiadelmondo.
L’idea centrale del sito web -alle radici dello spirito medievale per ritrovare il nostro spirito-, dedicato, appunto, alla spiritualità medievale, è quella di far scoprire agli utenti della rete lo spirito medievale, ma soprattutto la sua attualità, data la rilevanza dei tanti aspetti e temi che tutt’oggi sono presenti nella nostra società ultra tecnologica.
Il sito si caratterizza per l’offerta di percorsi di riflessione che variano dalla spiritualità medievale, dall’analisi dei molti aspetti culturali e filosofici degli ordini benedettini, francescani, dal fenomeno della più complessa, forse, spiritualità femminile, fino alle radici profonde della coscienza religiosa europea. Un punto, quest’ultimo, di estrema contemporaneità, dal momento che è stato negato, forse per un atto di estrema prudenza, tale richiamo storico e religioso all’interno della Carta Costituzionale Europea.
L’eredità che il Medioevo, con tutta la sua cultura, la sua storia, la sua arte, la sua religione, la sua scienza, ha lasciato a noi contemporanei, si riflette nell’ideale di una Unione Europea che tragga i suoi fondamenti anche dall’esperienza religiosa medievale, da quella Christianitas, tanto sentita e tribolata, cha ha segnato indelebilmente i 1000 anni medievali.
Come dichiara l’Autore nel suo ‘manifesto programmatico’ il patrimonio culturale medievale costituisce un punto “riferimento che ci [può] essere di aiuto per la nostra crescita culturale e spirituale, alla riscoperta di un patrimonio di fede e di cultura ancora vivo e presente tra noi. Il sito è rivolto quindi a tutti coloro, studenti, insegnanti e appassionati di storia in genere, con i quali si vuol stabilire un luogo aperto di discussione e di crescita comune, alla riscoperta dello spirito dei medievali”.
L’idea europea è ancora più evidente nella presenza di traduzioni in inglese, francese, tedesco e spagnolo di tutti, o quasi tutti, i testi pubblicati nel sito web. Il taglio, che può definirsi certamente di ampio respiro sia da un punto di vista contenutistico che di collaborazioni, è quello di una cultura diffusa a largo spettro e cercata in ogni piccolo particolare psicologico. Di rilievo anche la partecipazione di studiosi internazionali. Inoltre, molto utile e seguito, si è rivelato lo svolgimento di un corso di spiritualità e psicologia attivato dall’Autore sulla base del suo volume Dal Medioevo al Duemila. Sentieri spirituali per un cammino nel Terzo Millennio, Libreria Editrice Sapere Nuovo, che ha riscosso un largo consenso tra i lettori.
Di contro all’individualismo moderno e contemporaneo, che vede l’uomo, il singolo, come artefice del proprio destino, lontano dal contatto con l’Eterno e con l’altro, l’Autore propone di “mettere in comunione un sapere, proprio come si faceva nel Medioevo, e cercare di fondare una piccola scuola di pensiero. La caratteristica fondamentale di questa scuola è che la verità non appartiene ad un solo uomo, ad un solo studioso, per quanto bravo, ma viene fuori dal confronto tra le idee e gli studi. E la forza di Internet sta nel fatto che questo confronto è enormemente facilitato. Quando noi leggiamo le grandi Summe, o vediamo le cattedrali, romaniche, gotiche, o i grandi movimenti spirituali, benedettini, francescani, pellegrinaggi ecc, noi non riusciamo a capire che essi sono stati motore di crescita dell’Europa, perché erano un luogo di incontro di tante culture e sensibilità diverse. Si formavano scuole di pensiero e d’arte, cosa che per noi, così individualisti, è quasi un non senso. Noi, soprattutto qui in Italia e soprattutto tra gli uomini di cultura, siamo molto individualisti, e non vogliamo, a volte, trasmettere il nostro sapere perché lo vediamo come una perdita di potere, anche di potere economico. Ma per fortuna, soprattutto per le nuove generazioni, non è sempre così. E l’idea che muove il sito è proprio questa”. Sarebbe utile, probabilmente, tornare alla ‘bottega’ dove il ‘maestro’ insegnava ai lavoranti il mestiere. In questo modo, come nel periodo dell’Umanesimo e del Rinascimento, il progresso dell’arte, della cultura, delle scienze, potrebbe essere maggiormente evidente e d’uso più diffuso.
Il sito è collegato alle migliori iniziative pubbliche e private presenti in internet nel campo della storia e delle scienze umane: Storiadelmondo, rivista telematica di Storia e Scienze Umane, l’americana ORB, l’Università di Lione, il Dipartimento di Filosofia dell’Università di Macerata, ed è stato recensito da RAITRE nella rubrica “Neapolis”, specializzata nella diffusione e divulgazione delle risorse Internet.
Essendo l’Autore della cittadina marchigiana di Senigallia, il sito è stato recensito anche da “Marcheexpo. Il portale delle Marche”, che ha scritto: “Rimane sempre comunque il legame con le origini: la famosa immagine della pianta di Senigallia del ‘500 è infatti presente nella pagina del sommario del sito, in tutte le lingue. Segno del legame di questo studioso con la comunità civile e religiosa della nostra città”. E segno dell’importanza che il radicamento culturale assume nella formazione di un pensiero consapevole ed obiettivo.
“Medio & Evo” può essere certamente definito come un ottimo punto d’incontro per chi voglia approfondire il tema storico della spiritualità e chi, oltre alla storia, voglia affrontare un percorso personale di crescita e maturazione.
Roberta Fidanzia
Medioevo & Evo www.medio-evo.org
— Roberta Fidanzia
Il sito è stato ideato, curato ed è tuttora gestito da Claudio Attardi, ricercatore indipendente, che vanta numerosissime pubblicazioni, molte delle quali anche in Storiadelmondo.
L’idea centrale del sito web -alle radici dello spirito medievale per ritrovare il nostro spirito-, dedicato, appunto, alla spiritualità medievale, è quella di far scoprire agli utenti della rete lo spirito medievale, ma soprattutto la sua attualità, data la rilevanza dei tanti aspetti e temi che tutt’oggi sono presenti nella nostra società ultra tecnologica.
Il sito si caratterizza per l’offerta di percorsi di riflessione che variano dalla spiritualità medievale, dall’analisi dei molti aspetti culturali e filosofici degli ordini benedettini, francescani, dal fenomeno della più complessa, forse, spiritualità femminile, fino alle radici profonde della coscienza religiosa europea. Un punto, quest’ultimo, di estrema contemporaneità, dal momento che è stato negato, forse per un atto di estrema prudenza, tale richiamo storico e religioso all’interno della Carta Costituzionale Europea.
L’eredità che il Medioevo, con tutta la sua cultura, la sua storia, la sua arte, la sua religione, la sua scienza, ha lasciato a noi contemporanei, si riflette nell’ideale di una Unione Europea che tragga i suoi fondamenti anche dall’esperienza religiosa medievale, da quella Christianitas, tanto sentita e tribolata, cha ha segnato indelebilmente i 1000 anni medievali.
Come dichiara l’Autore nel suo ‘manifesto programmatico’ il patrimonio culturale medievale costituisce un punto “riferimento che ci [può] essere di aiuto per la nostra crescita culturale e spirituale, alla riscoperta di un patrimonio di fede e di cultura ancora vivo e presente tra noi. Il sito è rivolto quindi a tutti coloro, studenti, insegnanti e appassionati di storia in genere, con i quali si vuol stabilire un luogo aperto di discussione e di crescita comune, alla riscoperta dello spirito dei medievali”.
L’idea europea è ancora più evidente nella presenza di traduzioni in inglese, francese, tedesco e spagnolo di tutti, o quasi tutti, i testi pubblicati nel sito web. Il taglio, che può definirsi certamente di ampio respiro sia da un punto di vista contenutistico che di collaborazioni, è quello di una cultura diffusa a largo spettro e cercata in ogni piccolo particolare psicologico. Di rilievo anche la partecipazione di studiosi internazionali. Inoltre, molto utile e seguito, si è rivelato lo svolgimento di un corso di spiritualità e psicologia attivato dall’Autore sulla base del suo volume Dal Medioevo al Duemila. Sentieri spirituali per un cammino nel Terzo Millennio, Libreria Editrice Sapere Nuovo, che ha riscosso un largo consenso tra i lettori.
Di contro all’individualismo moderno e contemporaneo, che vede l’uomo, il singolo, come artefice del proprio destino, lontano dal contatto con l’Eterno e con l’altro, l’Autore propone di “mettere in comunione un sapere, proprio come si faceva nel Medioevo, e cercare di fondare una piccola scuola di pensiero. La caratteristica fondamentale di questa scuola è che la verità non appartiene ad un solo uomo, ad un solo studioso, per quanto bravo, ma viene fuori dal confronto tra le idee e gli studi. E la forza di Internet sta nel fatto che questo confronto è enormemente facilitato. Quando noi leggiamo le grandi Summe, o vediamo le cattedrali, romaniche, gotiche, o i grandi movimenti spirituali, benedettini, francescani, pellegrinaggi ecc, noi non riusciamo a capire che essi sono stati motore di crescita dell’Europa, perché erano un luogo di incontro di tante culture e sensibilità diverse. Si formavano scuole di pensiero e d’arte, cosa che per noi, così individualisti, è quasi un non senso. Noi, soprattutto qui in Italia e soprattutto tra gli uomini di cultura, siamo molto individualisti, e non vogliamo, a volte, trasmettere il nostro sapere perché lo vediamo come una perdita di potere, anche di potere economico. Ma per fortuna, soprattutto per le nuove generazioni, non è sempre così. E l’idea che muove il sito è proprio questa”. Sarebbe utile, probabilmente, tornare alla ‘bottega’ dove il ‘maestro’ insegnava ai lavoranti il mestiere. In questo modo, come nel periodo dell’Umanesimo e del Rinascimento, il progresso dell’arte, della cultura, delle scienze, potrebbe essere maggiormente evidente e d’uso più diffuso.
Il sito è collegato alle migliori iniziative pubbliche e private presenti in internet nel campo della storia e delle scienze umane: Storiadelmondo, rivista telematica di Storia e Scienze Umane, l’americana ORB, l’Università di Lione, il Dipartimento di Filosofia dell’Università di Macerata, ed è stato recensito da RAITRE nella rubrica “Neapolis”, specializzata nella diffusione e divulgazione delle risorse Internet.
Essendo l’Autore della cittadina marchigiana di Senigallia, il sito è stato recensito anche da “Marcheexpo. Il portale delle Marche”, che ha scritto: “Rimane sempre comunque il legame con le origini: la famosa immagine della pianta di Senigallia del ‘500 è infatti presente nella pagina del sommario del sito, in tutte le lingue. Segno del legame di questo studioso con la comunità civile e religiosa della nostra città”. E segno dell’importanza che il radicamento culturale assume nella formazione di un pensiero consapevole ed obiettivo.
“Medio & Evo” può essere certamente definito come un ottimo punto d’incontro per chi voglia approfondire il tema storico della spiritualità e chi, oltre alla storia, voglia affrontare un percorso personale di crescita e maturazione.
Roberta Fidanzia
Medioevo & Evo www.medio-evo.org
Profilo del pensiero medievale
giovedì dicembre 14, 2006
Mariateresa Fumagalli Beonio Brocchieri, Profilo del pensiero medievale
Il libro della Beonio Brocchieri s’inserisce, forse a ragione e forse in maniera limitativa, nella collana Laterza dei Manuali di base.
Obiettivo dichiarato del volume è quello di prendere in esame i concetti filosofici caratteristici di un Medioevo, di cui la definizione cronologica è già dibattuta lungamente nell’Introduzione e che risulta difficilmente individuabile, e i punti di snodo fondamentali per l’esame dello sviluppo di tali concetti. Nel rispetto di questa impostazione di analisi, il taglio del volume non rientra nello stile ‘classico’ dei manuali. Non si tratta, infatti, di un elenco di autori di cui si espongono pensieri, parole, opere ed opinioni; è un percorso storico, filosofico, geografico, attraverso lo svolgimento delle idee e delle problematiche caratterizzanti l’epoca medievale.
Due risultano essere le tentazioni di un libro di storia delle filosofia: la “tentazione di quei cartografi, descritti in un racconto fantastico, che per tracciare la mappa perfetta di un impero giunsero a costruire una grandiosa carta geografica grande quanto l’impero stesso” [...] [e] “quella di individuare un carattere dominante del periodo preso in considerazione, di catturare lo spirito della filosofia imbrigliandolo in una formula unica, in un’unica finalità” . Ed entrambe risultano superate dall’impostazione strutturale del volume.
Partendo da un capitolo dedicato al Racconto, in cui vengono esposti i punti fondamentali, i motivi di svolta della filosofia medievale, ed in cui vengono evidenziate e circoscritte alcune problematiche concettuali della cultura filosofica medievale, il volume si apre alla sua parte più corposa sia da un punto di vista puramente ‘materiale’, sia dal punto di vista dei contenuti: la sezione dedicata alle Trame.
In queste pagine sono analizzati alcuni dei vari generi filosofici nati nel corso del Medioevo. Obiettivo, perfettamente raggiunto, di tale impostazione è quello di mettere in relazione le strutture filosofiche ed i contenuti del sapere. Pertanto i generi delle Confessioni, delle Sentenze, delle Summae, delle Enciclopedie, “forniscono modelli di interpretazione della realtà diversi [...] forme simboliche alternative, con finalità, strumenti, logiche differenti [costituendo] delle vere e proprie trame in movimento del pensiero medievale” .
Connesso a questa sezione, quasi come una sua continuazione, il capitolo dedicato a La forza delle cose evidenzia come “la riflessione politica è quasi sempre il pensiero di intellettuali che interagiscono con le trasformazioni e i progetti della loro epoca” . Sono i contesti del vivere quotidiano quelli che fanno sorgere molte delle domande a cui i filosofi del medioevo hanno cercato di dare risposta. “La dimensione etica e sacrale della responsabilità del sovrano; [...] il dualismo - metafisico e politico - di spirituale e temporale; [...] il tema del peccato originale, che facendo l’uomo debole di fronte a se stesso e vulnerabile davanti agli altri, rende necessaria l’organizzazione della propria difesa, il governo e la comunità politica” sono solo alcuni dei contesti cognitivi nei quali hanno interagito i pensatori politici medievali.
Trattando di contesti, ci si sposta agilmente, seguendo la mappatura del volume, nei contesti geografici ed architettonici, ne I luoghi della cultura filosofica. “Il monastero, la corte, la scuola cattedrale, l’università non segnano soltanto il succedersi delle epoche e dello sviluppo sociale e culturale [...], ma mettono in luce la varietà degli ambienti filosofici e quindi la trasformazione e la complessità delle filosofie medievali” .
Passando dal chiuso del monastero e dalla contemplazione catartica all’interno del chiostro all’apertura geografica e sociale, in senso lato e non moderno, delle università, e dal palazzo alla scuola o dal monastero alla cattedrale, si ha l’idea, sempre più convincente ed avvincente, di un mosaico in costruzione, “di un continuo processo di stratificazione e dinamicità filosofica” . Evidente, inoltre - e qui il volume sembra in qualche misura ripercorrere le tappe cronologico-architettoniche del classico L’arte e la società medievale di Georges Duby -, la differenza e la ricchezza delle varie espressioni artistico-architettoniche derivanti dalla varietà del pensiero così come manifestato nei vari tempi, luoghi ed ambienti.
A conclusione del volume, come una sorta di tavole fuori testo, i Ritratti dei pensatori che più hanno caratterizzato un periodo particolare del millenario medioevo, per l’originalità del pensiero o della sua espressione.
Nel suo complesso il libro risulta maneggevole, piacevole alla lettura, in certi punti intrigante al punto da non poter quasi resistere ad una nuova tentazione: approfondire un’idea, un pensiero, un momento storico dell’affascinante avvicendarsi dei secoli medievali.
Roberta Fidanzia
Mariateresa Fumagalli Beonio Brocchieri, Profilo del pensiero medievale, Laterza, Bari 2002, pp. 139. ISBN 88-420-6706-7, € 15.00.
— Roberta Fidanzia
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Il libro della Beonio Brocchieri s’inserisce, forse a ragione e forse in maniera limitativa, nella collana Laterza dei Manuali di base.
Obiettivo dichiarato del volume è quello di prendere in esame i concetti filosofici caratteristici di un Medioevo, di cui la definizione cronologica è già dibattuta lungamente nell’Introduzione e che risulta difficilmente individuabile, e i punti di snodo fondamentali per l’esame dello sviluppo di tali concetti. Nel rispetto di questa impostazione di analisi, il taglio del volume non rientra nello stile ‘classico’ dei manuali. Non si tratta, infatti, di un elenco di autori di cui si espongono pensieri, parole, opere ed opinioni; è un percorso storico, filosofico, geografico, attraverso lo svolgimento delle idee e delle problematiche caratterizzanti l’epoca medievale.
Due risultano essere le tentazioni di un libro di storia delle filosofia: la “tentazione di quei cartografi, descritti in un racconto fantastico, che per tracciare la mappa perfetta di un impero giunsero a costruire una grandiosa carta geografica grande quanto l’impero stesso” [...] [e] “quella di individuare un carattere dominante del periodo preso in considerazione, di catturare lo spirito della filosofia imbrigliandolo in una formula unica, in un’unica finalità” . Ed entrambe risultano superate dall’impostazione strutturale del volume.
Partendo da un capitolo dedicato al Racconto, in cui vengono esposti i punti fondamentali, i motivi di svolta della filosofia medievale, ed in cui vengono evidenziate e circoscritte alcune problematiche concettuali della cultura filosofica medievale, il volume si apre alla sua parte più corposa sia da un punto di vista puramente ‘materiale’, sia dal punto di vista dei contenuti: la sezione dedicata alle Trame.
In queste pagine sono analizzati alcuni dei vari generi filosofici nati nel corso del Medioevo. Obiettivo, perfettamente raggiunto, di tale impostazione è quello di mettere in relazione le strutture filosofiche ed i contenuti del sapere. Pertanto i generi delle Confessioni, delle Sentenze, delle Summae, delle Enciclopedie, “forniscono modelli di interpretazione della realtà diversi [...] forme simboliche alternative, con finalità, strumenti, logiche differenti [costituendo] delle vere e proprie trame in movimento del pensiero medievale” .
Connesso a questa sezione, quasi come una sua continuazione, il capitolo dedicato a La forza delle cose evidenzia come “la riflessione politica è quasi sempre il pensiero di intellettuali che interagiscono con le trasformazioni e i progetti della loro epoca” . Sono i contesti del vivere quotidiano quelli che fanno sorgere molte delle domande a cui i filosofi del medioevo hanno cercato di dare risposta. “La dimensione etica e sacrale della responsabilità del sovrano; [...] il dualismo - metafisico e politico - di spirituale e temporale; [...] il tema del peccato originale, che facendo l’uomo debole di fronte a se stesso e vulnerabile davanti agli altri, rende necessaria l’organizzazione della propria difesa, il governo e la comunità politica” sono solo alcuni dei contesti cognitivi nei quali hanno interagito i pensatori politici medievali.
Trattando di contesti, ci si sposta agilmente, seguendo la mappatura del volume, nei contesti geografici ed architettonici, ne I luoghi della cultura filosofica. “Il monastero, la corte, la scuola cattedrale, l’università non segnano soltanto il succedersi delle epoche e dello sviluppo sociale e culturale [...], ma mettono in luce la varietà degli ambienti filosofici e quindi la trasformazione e la complessità delle filosofie medievali” .
Passando dal chiuso del monastero e dalla contemplazione catartica all’interno del chiostro all’apertura geografica e sociale, in senso lato e non moderno, delle università, e dal palazzo alla scuola o dal monastero alla cattedrale, si ha l’idea, sempre più convincente ed avvincente, di un mosaico in costruzione, “di un continuo processo di stratificazione e dinamicità filosofica” . Evidente, inoltre - e qui il volume sembra in qualche misura ripercorrere le tappe cronologico-architettoniche del classico L’arte e la società medievale di Georges Duby -, la differenza e la ricchezza delle varie espressioni artistico-architettoniche derivanti dalla varietà del pensiero così come manifestato nei vari tempi, luoghi ed ambienti.
A conclusione del volume, come una sorta di tavole fuori testo, i Ritratti dei pensatori che più hanno caratterizzato un periodo particolare del millenario medioevo, per l’originalità del pensiero o della sua espressione.
Nel suo complesso il libro risulta maneggevole, piacevole alla lettura, in certi punti intrigante al punto da non poter quasi resistere ad una nuova tentazione: approfondire un’idea, un pensiero, un momento storico dell’affascinante avvicendarsi dei secoli medievali.
Roberta Fidanzia
Mariateresa Fumagalli Beonio Brocchieri, Profilo del pensiero medievale, Laterza, Bari 2002, pp. 139. ISBN 88-420-6706-7, € 15.00.