Nel 2008 ricorre il secondo centenario della nascita di Gianduja. La tradizione vuole che la maschera sia stata presentata dai loro inventori, i burattinai Giovan Battista Sales e Gioacchino Bellone, al pubblico torinese il 25 novembre 1808.
L'Istituto per i Beni Marionettistici e il Teatro Popolare organizza una serie di manifestazioni volte a celebrare i due secoli di vita di Gianduja: una vita strettamente connessa a quella di Torino e in particolare al Risorgimento, di cui rappresenta una delle grandi icone popolari.
Il primo appuntamento si è svolto il 12 e 13 gennaio a Lione. Per l'occasione è stato reso omaggio all'ultimo burattinaio di tradizione che agisce ancora oggi in Piemonte secondo il modello dei suoi avi: Eliseo Bruno Niemen.
Ai Niemen, alla loro plurisecolare storia, mescolata tra circo e burattini, è dedicata la mostra Gianduja nel gran teatro dei burattini dei fratelli Niemen inaugurata ieri presso lo Chalet Allemand nel Parco Culturale Le Serre a Grugliasco (TO), nell'ambito del Protocollo d'Intesa sottoscritto con la Regione Piemonte e la Città di Grugliasco, e in collaborazione con la Fondazione Circuito Teatrale del Piemonte.
In esposizione i "tesori" della famiglia Niemen: burattini, fondali, copioni, locandine e manifesti dalla metà dell'Ottocento ai primi decenni del Novecento. La mostra rimarrà aperta fino a domani 3 febbraio dalle ore 16 alle ore 18.
— Gianduja nel teatro dei Burattini
sabato febbraio 2, 2008
Roberta FidanziaL’Enigma degli Avori Medievali da Amalfi a Salerno
domenica gennaio 20, 2008
La mostra al Museo diocesano di Salerno nasce dalla raccolta della più vasta e completa serie di opere eburnee del Medioevo cristiano esistente al mondo. Il nucleo dell'esposizione è costituito dal complesso di sessantasette tavole e tavolette d’avorio scolpito, appartenenti ad un arredo liturgico eseguito per la Cattedrale di San Matteo. Qui, nel 1510, il vescovo Fregoso identificava il tesoro e lo apprezzava meritatamente come un grande complesso figurato, realizzato in avorio.
La mostra si propone lo scopo di radunare intorno al nucleo principale conservato a Salerno anche tutti gli altri elementi oggi presenti in musei e collezioni del mondo, spesso molto lontani fra loro, che gli studi sono venuti identificando come parti integranti del medesimo complesso.
La mostra si propone anche di integrare il quadro artistico amalfitano-salernitano, con la presentazione di alcuni importantissimi monumenti eburnei di destinazione non meno signorile che ludica e d’ispirazione profana: in particolare una selezione di rari e bellissimi pezzi di gioco degli scacchi (quelli detti di Carlomagno), che sono tra gli avori più strettamente collegati con i modi salernitani; e una scelta di corni da caccia, solitamente detti olifanti.
L’iniziativa è completata da due itinerari tematici, all’interno del centro antico di Salerno, che contribuiscono a contestualizzare la produzione degli avori nell’ambito culturale ed artistico in cui furono realizzati.
Salerno, Museo Diocesano, Largo Plebiscito, fino al 30.04.2008
— Angelo Gambella
La mostra si propone lo scopo di radunare intorno al nucleo principale conservato a Salerno anche tutti gli altri elementi oggi presenti in musei e collezioni del mondo, spesso molto lontani fra loro, che gli studi sono venuti identificando come parti integranti del medesimo complesso.
La mostra si propone anche di integrare il quadro artistico amalfitano-salernitano, con la presentazione di alcuni importantissimi monumenti eburnei di destinazione non meno signorile che ludica e d’ispirazione profana: in particolare una selezione di rari e bellissimi pezzi di gioco degli scacchi (quelli detti di Carlomagno), che sono tra gli avori più strettamente collegati con i modi salernitani; e una scelta di corni da caccia, solitamente detti olifanti.
L’iniziativa è completata da due itinerari tematici, all’interno del centro antico di Salerno, che contribuiscono a contestualizzare la produzione degli avori nell’ambito culturale ed artistico in cui furono realizzati.
Salerno, Museo Diocesano, Largo Plebiscito, fino al 30.04.2008
''Paesaggi Italiani'' di Michele Martinelli
giovedì gennaio 17, 2008
Il 15 gennaio 2008 presso il Bar Ristorante Canasta di Spoleto si è inaugurata la Mostra ''Paesaggi Italiani'' di Michele Martinelli, che sarà aperta e visitabile con orario continuato ed ingresso gratuito fino al 31 gennaio.
Martinelli, pittore autodidatta, è nato in una famiglia di artigiani. Il padre era un valente falegname ed egli da sempre si è sentito attratto da tutto ciò che è di fattura manuale. Così, accanto all’amore per il lavoro paterno che sta continuando a portare avanti con grande soddisfazione, è nata anche la passione per la pittura.
Quella di Michele Martinelli è un’arte che nasce di getto, i suoi lavori sono figli delle emozioni che l’artista prova davanti alle bellezze incontaminate della natura.
Al ristorante Canasta si può ammirare una selezione della sua produzione dagli inizi ad oggi, ovvero oltre quindici tele del creativo che rappresentano i più significativi scorci paesaggistici italiani, visti con l’occhio di un osservatore acuto che sa cogliere anche i minimi particolari.
Nascono così lavori come Venezia, le Vallate Piemontesi, ma anche i quadri ispirati alle bellezze architettoniche perugine come l’Arco etrusco, la Via dell’Acquedotto, la Chiesa di San Pietro, tutte opere riprese da antiche stampe dell’ottocento.
Una segnalazione particolare meritano le tele dedicate ai borghi umbri, come Paciano, Monte del Lago, Spello, la splendida Assisi, in cui l’artista ha saputo immortalare e raccontare il misticismo che da sempre contraddistingue questa incantevole regione d'Italia.
Varie le tecniche pittoriche di cui l’artista si avvale come le calde tonalità dell’olio e dello spatolato. Tra i pigmenti ed i materiali utilizzati si trovano le resine, gli acrilici, gli smalti ed i bitumi.
— Roberta Fidanzia
Martinelli, pittore autodidatta, è nato in una famiglia di artigiani. Il padre era un valente falegname ed egli da sempre si è sentito attratto da tutto ciò che è di fattura manuale. Così, accanto all’amore per il lavoro paterno che sta continuando a portare avanti con grande soddisfazione, è nata anche la passione per la pittura.
Quella di Michele Martinelli è un’arte che nasce di getto, i suoi lavori sono figli delle emozioni che l’artista prova davanti alle bellezze incontaminate della natura.
Al ristorante Canasta si può ammirare una selezione della sua produzione dagli inizi ad oggi, ovvero oltre quindici tele del creativo che rappresentano i più significativi scorci paesaggistici italiani, visti con l’occhio di un osservatore acuto che sa cogliere anche i minimi particolari.
Nascono così lavori come Venezia, le Vallate Piemontesi, ma anche i quadri ispirati alle bellezze architettoniche perugine come l’Arco etrusco, la Via dell’Acquedotto, la Chiesa di San Pietro, tutte opere riprese da antiche stampe dell’ottocento.
Una segnalazione particolare meritano le tele dedicate ai borghi umbri, come Paciano, Monte del Lago, Spello, la splendida Assisi, in cui l’artista ha saputo immortalare e raccontare il misticismo che da sempre contraddistingue questa incantevole regione d'Italia.
Varie le tecniche pittoriche di cui l’artista si avvale come le calde tonalità dell’olio e dello spatolato. Tra i pigmenti ed i materiali utilizzati si trovano le resine, gli acrilici, gli smalti ed i bitumi.
La mostra di Hackert alla Reggia di Caserta
giovedì gennaio 17, 2008
Alla Reggia di Caserta è stata allestita una mostra in occasione del bicentenario della scomparsa del grande paesaggista tedesco del settecento Jacob Philipp Hackert. L’esposizione è aperta dal 14 dicembre 2007 fino al 13 aprile 2008, ed è promossa dalla Soprintendenza per i Beni Architettonici per il Paesaggio e per il Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico per le Province di Caserta e Benevento, e sostenuta dall’assessorato al Turismo e ai Beni Culturali della Regione Campania.
La mostra intitolata “Jacob Philipp Hackert (1737-1807) - La linea analitica della pittura di paesaggio in Europa”, presenta 112 opere tra dipinti e disegni. Il Professore Cesare de Seta è il curatore della mostra.
Sono esposti i dipinti relativi all’intera produzione di Hackert con un cospicuo fondo della Reggia di Caserta e le opere provenienti da collezioni italiane e straniere, pubbliche e private. L’esposizione, che si snoda in 8 delle sale della Pinacoteca della Reggia e lungo il percorso dell’appartamento reale del 700, è divisa in quattro sezioni: dai primi lavori degli esordi berlinesi (1760-1764) si prosegue con quelli del soggiorno a Parigi (1765-1768) e con le opere realizzate in Italia, prima a Roma (1769-1786), poi a Napoli (1786-1799) dove, alla corte di Ferdinando IV di Borbone, assunse il ruolo di pittore di Corte. L’ultima sezione riguarda le opere realizzate a San Pietro di Careggi in Toscana (1800-1807), dove si rifugiò dopo la sua fuga dal Regno a causa della rivoluzione napoletana.
— Angelo Gambella
La mostra intitolata “Jacob Philipp Hackert (1737-1807) - La linea analitica della pittura di paesaggio in Europa”, presenta 112 opere tra dipinti e disegni. Il Professore Cesare de Seta è il curatore della mostra.
Sono esposti i dipinti relativi all’intera produzione di Hackert con un cospicuo fondo della Reggia di Caserta e le opere provenienti da collezioni italiane e straniere, pubbliche e private. L’esposizione, che si snoda in 8 delle sale della Pinacoteca della Reggia e lungo il percorso dell’appartamento reale del 700, è divisa in quattro sezioni: dai primi lavori degli esordi berlinesi (1760-1764) si prosegue con quelli del soggiorno a Parigi (1765-1768) e con le opere realizzate in Italia, prima a Roma (1769-1786), poi a Napoli (1786-1799) dove, alla corte di Ferdinando IV di Borbone, assunse il ruolo di pittore di Corte. L’ultima sezione riguarda le opere realizzate a San Pietro di Careggi in Toscana (1800-1807), dove si rifugiò dopo la sua fuga dal Regno a causa della rivoluzione napoletana.
Fra Giovanni Angelico: pittore miniatore o miniatore pittore? Mostra a Firenze
mercoledì gennaio 9, 2008
Il 7 gennaio si è aperta a Firenze, presso l'incantevole struttura del Museo di San Marco, la Mostra dedicata al grande pittore medievale Giovanni da Fiesole, noto alla storia dell'arte come il Beato Angelico.
La Mostra è stata curata dalla studiosa Sara Giacomelli ed il titolo "Fra Giovanni Angelico: pittore miniatore o miniatore pittore?" intende evidenziare la caratteristica artistica del Nostro. Infatti, oltre alle sue grandiose opere dipinte, fra cui l'ispirata "Crocifissione" ed il noto "Tabernacolo dei linaioli", egli si dedicò alla miniatura con la stessa maestria.
Beato Angelico nacque nel 1395 a Vicchio, in provincia di Firenze, nello stesso borgo in cui era nato Giotto. Si chiamava Guido Di Pietro, ma quando prese i voti nel convento di San Domenico di Fiesole, assunse il nome di Giovanni da Fiesole, e solo molto più tardi la storia dell’arte si sarebbe incaricata di chiamarlo “il Beato Angelico”. Fu pittore rinascimentale studiato da Masaccio e da Piero della Francesca, oltre che da tutti i pittori del Cinquecento. Fu inoltre il primo pittore italiano a dipingere un paesaggio non di fantasia, ma riconoscibile dal vero: la veduta del Trasimeno da Cortona.
La sua arte ha lasciato immensi capolavori, fino al 1447, anno in cui accettò di trasferirsi a Roma per decorare la Cappella niccolina in Vaticano. Qui i suoi affreschi evidenziano un declino della sua arte: come se avesse già dato il meglio di sé esprimendo una spiritualità che a Roma sembrava ormai avere poco significato. E proprio a Roma, che a lui dovette sembrare una città tadicalmente "straniera", morì nel 1455.
— Roberta Fidanzia
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La Mostra è stata curata dalla studiosa Sara Giacomelli ed il titolo "Fra Giovanni Angelico: pittore miniatore o miniatore pittore?" intende evidenziare la caratteristica artistica del Nostro. Infatti, oltre alle sue grandiose opere dipinte, fra cui l'ispirata "Crocifissione" ed il noto "Tabernacolo dei linaioli", egli si dedicò alla miniatura con la stessa maestria.
Beato Angelico nacque nel 1395 a Vicchio, in provincia di Firenze, nello stesso borgo in cui era nato Giotto. Si chiamava Guido Di Pietro, ma quando prese i voti nel convento di San Domenico di Fiesole, assunse il nome di Giovanni da Fiesole, e solo molto più tardi la storia dell’arte si sarebbe incaricata di chiamarlo “il Beato Angelico”. Fu pittore rinascimentale studiato da Masaccio e da Piero della Francesca, oltre che da tutti i pittori del Cinquecento. Fu inoltre il primo pittore italiano a dipingere un paesaggio non di fantasia, ma riconoscibile dal vero: la veduta del Trasimeno da Cortona.
La sua arte ha lasciato immensi capolavori, fino al 1447, anno in cui accettò di trasferirsi a Roma per decorare la Cappella niccolina in Vaticano. Qui i suoi affreschi evidenziano un declino della sua arte: come se avesse già dato il meglio di sé esprimendo una spiritualità che a Roma sembrava ormai avere poco significato. E proprio a Roma, che a lui dovette sembrare una città tadicalmente "straniera", morì nel 1455.