mercoledì maggio 22, 2013
Pubblicato il nuovo libro di Giuseppe Gagliano Utopia, violenza rivoluzionaria e terrorismo
Attraverso un’ottica interpretativa di natura strategica mutuata dalle riflessioni dell’analista di intelligence Vittorfranco Pisano e dalla Scuola di guerra psicologica francese, l’autore ha voluto porre l’enfasi nel primo capitolo sull’esistenza di tecniche antagoniste ricorrenti usate dal movimento del Sessantotto (l’agitazione sovversiva, la disinformazione, l’intossicazione, la demonizzazione, ecc.). Nel capitolo secondo, l’attenzione si è soffermata sulla presenza, nel movimento del Sessantotto europeo, di nuclei tematici comuni. Dal capitolo terzo al capitolo quarto — attraverso un approccio storico–sociologico derivato dalle riflessioni di Raymond Aron, Nicola Matteucci, Rosario Romeo, Gaetano Quagliarello, Angelo Ventrone, Danilo Breschi, Angelo Ventura e Alessandro Orsini — l’autore ha sottolineato, fra l’altro, la profonda continuità ideologica tra il movimento del Sessantotto e il terrorismo di estrema sinistra in aperto contrasto con una storiografia agiografica che ha interpretato il Sessantotto e il Settantasette come due fasi storiche profondamente diverse.
Giuseppe Gagliano, Utopia, violenza rivoluzionaria e terrorismo pag.96, Aracne 2013.
Riferimento Internet: Cestudec.com
Biografia:
Giuseppe Gagliano si è laureato in Filosofia presso l’Università Statale di Milano. Attualmente è Presidente Cestudec (Centro Studi Strategici Carlo De Cristoforis) e collabora con la «Rivista Marittima», l’Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie, la Glocal University Network, la Società italiana di Storia militare, il Centro de Estudos em Geopolítica e Relações Intenacionais (Brasile), il Centre Français de Recherche sur le Renseignement (Francia), il Sage International (Australia), il Terrorism Research §Analysis Consortium (Usa), Geostrategic Forecasting(Usa), l’International Journal of Science (Inghilterra). E’ autore di numerosi saggi e di articoli in lingua inglese e francese.
— CESTUDEC
Libri, Storia
venerdì marzo 15, 2013
L’affascinante ipotesi in uno studio di Fabrizio Guastafierro sui 900 anni della cattedrale sorrentina, originariamente ubicata in un altro sito.
Se l’antica cattedrale di Sorrento non fosse ormai scomparsa, il 16 marzo di quest’anno avrebbe celebrato il novecentesimo anniversario dalla data in cui fu consacrata in occasione di una cerimonia celebrata dal Cardinale Riccardo di Albano ed alla quale, con ogni probabilità, – oltre che i nobili sorrentini – intervennero anche i signori dei vicini principati di Capua e di Salerno oltre che tantissimi ecclesiastici.
La ricorrenza non è sfuggita a Fabrizio Guastafierro il quale ha ritenuto di elaborare uno studio proprio sulla Cattedrale sorrentina partendo dall’epoca paleocristiana per giungere fino all’appena richiamata consacrazione del 1113.
Potenzialmente destinata a trasformarsi in un libro, l’opera (che per quanto esauriente – a detta dello stesso autore – è da ritenersi ancora “abbozzata oltre che meritevole di ulteriori correzioni ed approfondimenti”) è già consultabile in due sezioni del sito internet: www.ilmegliodisorrento.com.
Allo stato – proprio per festeggiare il novecentesimo anniversario al quale si è fatto riferimento – sono già online circa quaranta pagine divise in due sezioni: una intitolata semplicemente la “Cattedrale” e l’altra “La consacrazione del 1113”.
Molte, in ogni caso, le notizie che possono essere considerate interessanti ed inedite o, comunque, poco conosciute. Come quelle, ad esempio, che riguardano la probabile ubicazione della antica chiesa maggiore sorrentina ed i cambi di intitolazione che verosimilmente lo videro interessato.
Al riguardo, infatti, il ricercatore sorrentino si è impegnato a dimostrare come siano destituite di ogni fondamento le versioni che – in passato – miravano ad avvalorare le tesi di collocazione della cattedra vescovile nella chiesa annessa all’ormai scomparso Monastero di San Renato o in quella dedicata ai Santi Felice e Baccolo (anche conosciuta come Chiesa del Rosario).
Per farlo non solo si è dedicato ad aspetti storici sui due antichi templi cristiani, ma anche sugli aspetti devozionali che videro interessati i Sorrentini in epoche assai remote.
Al termine di un lungo ed interessante ragionamento, lo stesso autore, giunge ad una affascinante conclusione: molto verosimilmente l’antica cattedrale di Sorrento sorgeva a pochi passi da quella oggi conosciuta e potrebbe identificarsi con una Chiesa dei Santi Renato e Valerio di cui si sono perse le tracce (prima che novecento anni fa si trasformasse in chiesa dedicata ai Santi Filippo e Giacomo oltre che alla Vergine Maria, alla Santa Croce, a tutti gli angeli, agli apostoli martiri, ai confessori, alle vergini e a tutti i santi).
Ma dove? Esattamente dove oggi si trova il campanile del Duomo, lungo corso Italia. Il tempio, probabilmente aveva lo stesso orientamento del palazzo vescovile perché destinato a giganteggiare in uno dei punti cardine della città.
— Redazione
Storia, Architettura
lunedì ottobre 20, 2008
Aspetti e problemi dell'evangelizzazione in America Latina (Parte 2)
di Roberta Fidanzia
Per capire lo spirito francescano è necessario fare una breve premessa basata sulla Regola non bollata di S. Francesco.
Nel capitolo sedicesimo si esprime il modo di evangelizzare voluto dal Santo: “i frati che vanno presso gli infedeli e i saraceni possono stabilire un dialogo spirituale in due modi. Uno è che non facciano liti o dispute, ma siano soggetti ad ogni creatura umana per amore di Dio e confessino di essere cristiani. L’altro modo è che, quando vedranno che piace al Signore, annunzino la parola di Dio affinchè infedeli e saraceni credano in Dio onnipotente, Padre e Figlio e Spirito Santo, creatore di tutte le cose, nel Figlio redentore e salvatore e siano battezzati e si facciano cristiani, perché se ognuno non sarà nato di nuovo dall’acqua e dallo Spirito Santo non potrà entrare nel Regno di Dio ”.
Si rinuncia, cosi, alla violenza, anche simbolica, per divulgare la fede.
È pur necessario tener presente che in Europa, nello stesso periodo, si assisteva ad una Riforma Cattolica, intesa non come pura reazione alla Riforma Protestante, ma come movimento nnovatore interno alla Chiesa stessa e che cercava di riportare la Chiesa all’originale spirito cristiano.
E questo ideale si mantenne sempre vivo nell’Ordine francescano che voleva far valere il Vangelo come norma vitae per tutti i cristiani.
Queste, quindi, erano le idee che circolavano tra i francescani di quell’epoca, tanto che molti di essi credevano sinceramente che nelle ìndie avrebbero instaurato la vera Chiesa, profetizzata dal Nuovo Testamento e da Gioacchino da Fiore , le cui idee, nonostante la condanna del 1215 da parte del Concilio Lateranense, sopravvissero fino al XIV secolo, influenzando sia alcune correnti cattoliche e sia alcune correnti della Riforma protestante.
Secondo fray Toribio de Benavente, soprannominato dagli indios “Motolinia”, che significa “poverello”, “estos indios en si no tienen estorbo que impida para ganar el cielo de los muchos que los espanoles tenemos y nos tienen sumidos, porqué su vida se contenta con muy poco ” ed anche un altro frate, Jerónimo de Mendieta, ci ha lasciato testimonianza delle qualità cristiane di questi indios quando, nella sua Historia Eclesiàstica Indiana, dice che “puédese afirmar por verdad infalible, que en el mundo non se ha descubierto naciòn o generaciòn de gente mas dispuesta y aparejada para salvar sus ànimas aue los indios de està Nuova Espana ...” ed elenca le condizioni e qualità naturali degli indios “muy favorables para hacer vida cristiana y para agradar a Dios ”.
Queste qualità cristiane sono rappresentate dalla docilità, mansuetudine, frugalità, semplicità, obbedienza, umiltà, pazienza e disponibilità al perdono, doti caratteristiche del buon francescano, ma anche del suddito perfetto , ideale lontano dal conquistatore.
Anche se gli spagnoli, infatti, dimostravano molto rispetto per le leggi, per esempio con la lettura del Requerimiento , non avevano dimostrato di possedere nei confronti degli indios le qualità morali del suddito perfetto. Però proprio per questa loro mitezza e docilità, gli indios, non erano adatti a governarsi da soli, ma dovevano essere guidati. Per questo i frati francescani, che sognavano di creare nelle Indie la vera Chiesa Apostolica, - nella quale non si deve vedere, però, un progetto di indipendenza politica del regno indiano, che non aveva mai sfiorato l’anima dei francescani -, dato il comportamento scandaloso dei conquistadores, molto poco cristiano, pensavano di costituire una “Republica de indios” divisa dalla “Republica de espanoles”.
La divisione non era, quindi, per questioni di razza, ma per evitare che l’evangelizzazione che essi si riproponevano di impartire agli indios non venisse inquinata dall’esempio dannoso degli spagnoli, ritenendo, tra l’altro, di poter ottenere più “ascetismo e rigore morale dagli indios che non dagli spagnoli ”.
II loro ideale era costituire una organizzazione ecclesiastica indiana - sempre non intesa in senso politico -, ma in questo furono combattuti dalla Santa Sede, che temeva una eccessiva autonomia dei frati e che continuava e continuerà a lungo a mantenere pregiudizi su indios e mestizos, escludendoli dagli ordini religiosi fino al XVIII secolo e rifiutando, nel XVII secolo, la canonizzazione dell’attuale S. Rosa da Lima , perché indiana. Sembra, dunque, che gli indios vivessero naturalmente secondo lo schema di vita dello spirito francescano: la loro alimentazione è poverissima, come i loro vestiti, hanno molta pazienza nel sopportare le malattie, non si preoccupano di accumulare ricchezze e non si uccidono fra loro per il potere, come testimonia “Motolinìa”.
E qui è chiaro il riferimento ai conquistadores, che pur di guadagnare ricchezza e potere erano pronti ad uccidere indiscriminatamente gli indios, considerati comunque animali inferiori, e ad uccidersi fra di loro, tradendo anche i vecchi amici e soci .
Nonostante i francescani abbiano accettato lo stampo politico della conquista, prima dei Re Cattolici e dopo dell’Imperatore Carlo V, non assumeranno il carattere economico della colonizzazione che era quello di accumulare ricchezze. “L’attività missionaria dei francescani - infatti – deve essere vista alla luce del “modo apostolico” e del fervore della “osservanza” alla quale appartenevano i francescani ” missionari. È, dunque, il Vangelo il centro della vita di S. Francesco: egli non voleva fondare un ordine religioso come gli altri, ma voleva riscattare per tutta la Chiesa, non la Chiesa intesa come istituzione presieduta dal papa, ma la Chiesa come comunità dei cristiani, il Vangelo come fonte di vita e di dedizione a tutte le persone, in qualsiasi condizione esse si trovassero.
Francesco, il “filosofo dell’Amore Cristiano”, come lo definisce Hans Welzel , non si oppone alla Chiesa Imperiale di Innocenzo III, come invece farà Lutero contro la corruzione della Chiesa Romana di Alessandro VI, ma non ne assume il progetto.
Così quello che caratterizza i francescani nelle loro missioni non sono le caratteristiche del comando, dell’imposizione, ma sono le caratteristiche dell’anima, della delicatezza, della dedizione, dell’accoglienza fraterna e del rispetto per tutte e per ogni persona ed essere vivente. E il Vangelo della Parola viva di Gesù, il Servo Soffrente, alla quale i francescani faranno sempre riferimento nelle loro opere.
Rifacendosi strettamente al Vangelo, S. Francesco prima ed i suoi seguaci dopo, esalteranno alcuni concetti fondamentali per la conversione dei popoli.
Primo fra tutti il concetto della povertà, così calzante per la situazione nelle Indie, dove, come è già stato messo in evidenza, gli indios erano poveri, vivevano poveri naturaliter.
L’universo dei francescani era composto di compassione e comunione, concetti comuni agli indios e come S. Francesco non cercò di organizzare strutture di aiuto per i poveri, ma diventò uno di essi, cosi i francescani nella loro missione si unirono agli indios, vivevano in comunione con loro e si sforzavano di capirli.
Molti di essi cominciarono a studiare i loro idiomi: “giocando con pietruzze e pagliuzze per provocare la spontaneità della comunicazione” per poter apprendere così il maggior numero di parole indigene, arrivarono anche a compilare i primi dizionari e le prime grammatiche .
Questo dimostra la forte volontà di avvicinarsi a quei popoli, cercando di spiegare concetti cristiani con parole indigene o quando questo non era possibile, per esempio per mancanza di un corrispettivo indigeno di un concetto cristiano, cercando di far assimilare la lingua spagnola.
Si inserivano, così, in quelle culture, constatandone alcuni valori simili ai valori cristiani e difendendo gli indigeni dalla cupidigia degli spagnoli.
Se non fosse stato per i frati di S. Francesco, la Nuova Spagna sarebbe stata come le isole, “que ni hay indio a quien ensenar la ley de Dios ”, così scrive Motolinia riguardo all’opera di mediazione che attuarono i francescani tra gli spagnoli e gli indios, impedendo la distruzione completa di quei popoli e delle loro culture. L’avidità degli spagnoli si era rivolta in due direzioni: la prima era nata dalla Conquista ed era stata quella di ogni conquistatore colpito dalla fame di bottino, la seconda era nata dalla colonizzazione ed era dello Stato, dell’Hacienda Real, che voleva aumentare le entrate fiscali.
I francescani ritenevano che il primo compito del sovrano fosse quello di garantire il bene comune delle repubbliche che componevano i suoi domini e si opposero radicalmente alla politica dei repartimientos, che volevano dividere la popolazione in uomini liberi e uomini “naturalmente” inferiori e per questo “giustamente” sottomessi, secondo la concezione aristotelica dell’ineguaglianza degli uomini per natura.
Così il sovrano e gli spagnoli si sarebbero procurati il bene provocando il male degli altri e questo non era inconcepibile.
A chi si opponeva a tale tesi, sostenendo che questa dottrina era antica, quindi giusta e che la politica dei repartimientos era già radicata da molto tempo nelle Indie e che per questo anch’essa era giusta, i francescani rispondevano che “también los pecados son cosa muy antigua en el mundo y no por eso son buenos ”.
Per questo gli indios dovevano essere “tutelati” Essi non erano capaci di governarsi da soli, non per inferiorità mentale, anzi essi avevano una piena “idoneità al sapere” alla quale, però, si associa una piena “inidoneità al potere ”. Avranno sempre bisogno, quindi, del “tutelaje” dei frati. Lo stesso Mendieta dice che gli indios “no son buenos para mandar ni regir, sino para sor mandados y regidos ”. I francescani costituirono le basi per un incontro tra le culture e non vollero provocare uno scontro, che avrebbe potuto rivelarsi irreparabile, come quello compiuto ad opera dei conquistadores.
Un secondo concetto fondamentale dei francescani, derivante comunque da quello della povertà, era la fraternità universale.
Povertà era comunione con Cristo e spoliazione che avvicina estremamente all’“altro”. La povertà fa sparire tutte le differenze e vince il demonio che vive nella smania di potere e ricchezza. La fraternità non è intesa solamente verso gli uomini da S. Francesco ed i suoi seguaci, ma anche verso la natura, con tutti gli esseri viventi e questo era un altro concetto comune alla vita degli indios, che vivevano nella natura e della natura, senza troppi artifici.
Altra caratteristica dei francescani è la partecipazione di tutti alla vita della Chiesa Apostolica.
Non c’è gerarchia, non c’è chi comanda e chi obbedisce, tutti sono ugualmente partecipi, ma nel caso degli indios questi devono essere guidati, non possono essere abbandonati. Essi sono già “orfani” della cultura cristiana e devono essere evangelizzati con l’esempio, la migliore “predica” agli occhi dei francescani .
Così in America Latina i francescani instaurarono un dialogo, non un rapporto scalare, ma vollero porsi “come bambini in mezzo ai bambini ”.
Questi, per lo meno, furono i concetti di partenza dei primi missionari francescani. Successivamente, infatti, le cose cambiarono. I missionari cercarono di mantenere vivi i loro ideali, ma furono impediti in questo sia dal potere statale e sia dal potere papale, tanto che le facoltà di evangelizzare e somministrare i sacramenti, concesse ai francescani in occasione della missione del 1523, vennero “restituite”, più o meno mezzo secolo dopo, al clero secolare, considerato più adatto ad europeizzare gli indios ed al quale vennero affidate anche le diocesi, che così acquistò maggior potere nei loro riguardi. L’approccio francescano al mondo indigeno della Nuova Spagna, dunque, presenta due aspetti complementari: da un lato lo studio delle tradizioni indigene e dall’altro il loro uso per un rinnovamento ecclesiale. Nei frati francescani è presente un notevole sforzo di comprensione del mondo dell’altro e di adattamento alle sue categorie culturali. Essi si unirono agli indios e ne condivisero la cultura e, anche senza aprire la partecipazione religiosa attiva ad indios, negri e mestizos, essi sono stati i testimoni della semplicità evangelica e dell’amore verso tutti, soprattutto verso i poveri, dando concretezza e credibilità alla proposta cristiana. Già con Filippo II si assiste alla riduzione del potere concesso ai frati regolari e alla distruzione della loro opera di studio e compromesso con le culture che erano andati ad evangelizzare.
— Roberta Fidanzia
Religione, Storia
giovedì ottobre 16, 2008
di Roberta Fidanzia
La Chiesa spagnola giunse in America con i conquistadores nel secondo viaggio di Cristoforo Colombo e, successivamente, ogni spedizione portò nel Nuovo Mondo altri missionari. Per primi giunsero i frati: domenicani, francescani, mercedariani, agostiniani, ecc. Da principio prevalsero i domenicani, poi i francescani ed, infine, i gesuiti.
Il passaggio dalla fede primitiva degli Aztechi e degli Incas alla disciplina del Cattolicesimo avvenne apparentemente con molta semplicità. La conquista religiosa del Nuovo Mondo fu, in realtà, un trionfo effimero: i monaci battezzarono decine di migliaia di indiani, ma questi non esitarono a riesumare i loro idoli e riti originari non appena si rese necessario fermare la distruzione dei raccolti da parte degli insetti o scongiurare la peste.
Per gli indiani, inoltre, era naturale la poligamia, che i monaci, naturalmente, combatterono tenacemente, anche se non erano aiutati dall’esempio dei conquistadores, i quali si univano a più donne indiane a dispetto dei severi ammonimenti dei frati .
Sembrava, quindi, un incontro - scontro tra i due mondi, ma grazie all’opera coraggiosa e costante di alcuni frati, che eleva la Chiesa Cattolica di quell’epoca, si riuscirono a trovare dei punti di contatto fondamentali per il successivo svolgimento della storia religiosa dell’America Latina.
L’America indiana, infatti, era pronta ad accogliere il Vangelo: le religioni degli aborigeni li rendevano aperti all’insegnamento dei monaci.
Anche se gli indios adoravano diverse e numerose divinità, tendevano al esaltarne una su tutte le altre . Gli indiani, inoltre, non solo erano preparati ad un certo monoteismo, ma anche alla promessa di una vita dopo la morte . Molti avevano credenze sul ciclo e l’inferno, su premi e punizioni al di là della tomba .
Inoltre sia agli Aztechi che agli Incas riuscì familiare l’organizzazione ecclesiastica degli spagnoli, poiché avevano già avuto un ordine sacerdotale gerarchico. II simbolo della Croce era loro familiare, alcuni dei loro antichi sacramenti erano simili a quelli cristiani: il battesimo con l’acqua era molto diffuso e fra gli Aztechi si celebrava il rito della confessione seguito dalla penitenza . Restavano comunque le difficoltà di comunicazione: la confessione per un lungo periodo di tempo venne amministrata con la mediazione degli interpreti, sulle cui capacità di tradurre appropriatamente il linguaggio dottrinale della fede si possono nutrire molti dubbi . Una vera evangelizzazione, e non una mera imposizione, si poteva ottenere rispettando ed accostandosi alle tradizioni di questi popoli per capirle e sfruttarle a vantaggio del fine ultimo, che era appunto quello di evangelizzare.
Autori di questo genere di evangelizzazione furono i frati appartenenti all’Ordine fondato dal “poverello” di Assisi, S. Francesco.
I francescani furono tra i primi frati ad arrivare in America Latina.
Il 25 aprile 1521, con la bolla papale Alias Felicis, due francescani, Juàn Capión e Francisco de los Angeles, futuro ministro generale dell’Ordine, furono autorizzati a “predicare il Vangelo, svolgere il ministero parrocchiale ed impartire i sacramenti ”, facoltà riservate al clero secolare.
Considerando che la Regola di S. Francesco era ispirata alla Parola del Vangelo, Francisco de los Angeles organizzò la missione del 1523 per il Messico scegliendo dodici frati francescani “poiché tale fu il numero dei discepoli di Cristo per la conversione del mondo ”.
Il “loro” Cristianesimo, verrà accettato da tutte le culture, mentre spesso la Chiesa, con la sua organizzazione gerarchica, con il suo potere complice della colonizzazione, con l’Inquisizione, con le guerre religiose e con il marcare differenze tra clerici e laici, uomini e donne, ecc., non sempre sarà accettata, ma, anzi, sovente, rifiutata. La povertà di questi frati francescani sarà invece il simbolo dell’accoglienza, essi godranno della benevolenza degli indios, con la loro tenerezza, delicatezza, fraternità, dedizione ai poveri e a tutti gli esseri del Creato, guadagneranno numerose anime al Vangelo.
Gli indios soffrivano sotto il giogo de los doctrineros, ovvero i loro parroci, e, specialmente, sotto quello degli encomenderos, i proprietari terrieri ai quali erano encomendados affinchè ricevessero una educazione cristiana e che, invece, sfruttavano la loro forza di lavoro rendendoli schiavi. Mentre chiedono al cielo di essere liberati dai cristiani, intesi come cristiani non i frati, ma gli spagnoli che gli mostravano un dio crudele e senza pietà, amavano molto i francescani. Agli indigeni piacevano i frati perché erano poveri e scalzi come loro e con loro si comportavano con dolcezza. L’ordine dei francescani è un ordine povero per una regione povera, essi vivevano gli ideali della generosità e della reciprocità, tipici delle culture precolombiane, che permeavano tutti gli aspetti della vita degli indios, dalla religione all’economia. L’economia incaica, per esempio, si basava sulla reciprocità e redistribuzione, intendendo per reciprocità “non solo uno scambio di lavoro, di energia umana, prima che scambio di cose, ma la permanenza delle obbigazioni derivate da tale scambio, nel tempo e nelle generazioni successive ”.
Ma questa reciprocità non era limitata al campo economico, si estendeva, anzi, anche al campo religioso.
Infatti, come mette in evidenza Steve Stern , l’obiettivo da raggiungere era il “Tincuna”, ovvero il luogo dove i due fiumi si uniscono, creando l’armonia, l’incontro con gli dei - antenati, i quali, in cambio della venerazione, concedevano la buona salute, raccolti abbondanti, ecc., mentre chi li dimenticava ne subiva la vendetta.
Anche gli Aztechi avevano una società ben organizzata e riflettente la religione: il “maceualli”, cioè l’abitante di una delle tre città federate, Messico, Texcoco e Tlacopàn, alla testa dell’impero, “pagava una imposta, ma le distribuzioni di viveri e di indumenti, che provenivano dal tributo delle province, dovevano compensarlo in larga parte ”.
Essi venerando il dio della pioggia Tlaloc ottenevano, in cambio, la pioggia per raccolti abbondanti, o se non venerato a sufficienza lo stesso dio scatenava a piacere l’uragano devastatore o la siccità.
Dicevano: "O mio signore, principe mago, a te appartiene veramente il mais ".
Questo era molto simile all’ideale cristiano francescano, basato sul lavoro comune, sulla distribuzione equa dei prodotti, sulla preghiera rivolta al Signore guadagnarsi la sua benevolenza e la salvezza eterna, il luogo dell’armonia, mentre chi viveva ignorando Dio non ne avrebbe guadagnato la benevolenza, ma rischiava di scatenarne l’ira con la conseguente dannazione eterna.
— Roberta Fidanzia
Religione, Storia
lunedì aprile 7, 2008
E' stato pubblicato oggi il numero 52 di Storiadelmondo, periodico telematico di Storia e Scienze Umane diretto da Roberta Fidanzia, con questo indice:
Angelo Gambella, I Seminari di Marzo di MIP e SISAEM.
Luca Giambonino, Rari bronzi tardo imperiali. Dall'imperatore Valentiniano I all'augusta Zenonis.
Aldo C. Marturano, Novgorod la grande.
Gennaro Tedesco, L'Europa della Resturazione.
La rivista è di pubblico accesso all'indirizzo http://www.storiadelmondo.com
Il prossimo numero è in calendario per il 21 aprile.
— Angelo Gambella
Editoria, Storia
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