Per le edizioni Marietti è recentemente uscito un voluminoso studio dedicato ad Augusto Del Noce (1910-1989), uno dei pensatori italiani più originali del Novecento.
La novità della linea del volume s’intravede già nel titolo e, seguendo l’organizzazione dei quattro capitoli, s’intuisce sin dal principio che non si ha davanti una biografia, né uno studio ristretto esclusivamente ad uno dei diversi settori nei quali si svolse l’indagine delnociana, come il Seicento francese, l’ontologismo moderno, il neoidealismo italiano o il marxismo. Il volume è, infatti, una rilettura di Del Noce incentrata sul tema della libertà. Si riconnette quindi esplicitamente ad una linea interpretativa che ha visto nella riflessione sulla libertà il leit motiv della filosofia di Del Noce (Augusto Del Noce e la libertà. Incontri filosofici, a cura di C. Vasale e G. Dessì, Sei, Torino 1996).
Il senso dell’espressione “radici della libertà” è chiarito dall’Autore nell’introduzione al volume: il filo conduttore capace di legare settori di indagine così disparati può essere rinvenuto nella ricerca di un fondamento metafisico della libertà. Del Noce, stimolato dalle vicende politico-culturali degli anni Trenta, avrebbe intuito precocemente il tragico nesso tra attivismo e nichilismo presente nella cultura contemporanea e lo avrebbe ricondotto ad una identificazione della libertà umana con un ideale di “creatività” mutuato dalla tradizione teologica di matrice ebraico-cristiana. La libertà allo stato puro, intesa, quindi, come assenza di presupposti e pura attività auto-creatrice, si affaccia nella cultura moderna con la concezione cartesiana di Dio, che può essere fatta rientrare nei quadri di un “volontarismo teologico”. I problemi che presenta sul piano metafisico e teologico si ingigantiscono se essa viene traslata entro un orizzonte di pensiero immanentistico, come sembra avvenire nell’ambito di una particolare linea di svolgimento del pensiero moderno e contemporaneo che culmina, a giudizio di Del Noce, nel neoidealismo italiano. Attraverso questa premessa, necessariamente sintetizzata in questa sede, ma densa di profonde riflessioni che derivano da un bagaglio filosofico dell’Autore di notevole rilievo, si giunge alla identificazione della domanda di fondo della faticosa indagine delnociana: come riaffermare una concezione della libertà che possa riproporre -nel quadro del pensiero moderno- l’idea tradizionale del “libero arbitrio” quale risposta umana all’iniziativa creatrice divina?
La ricostruzione operata da Paris insiste sull’aspetto profondamente personale di questa ricerca, che egli invita a leggere come una tormentosa ricerca da parte di Del Noce di una conferma razionale della propria fede cattolica. L’interesse per la dimensione politica sarebbe scaturito, dunque, secondo questa linea interpretativa, dall’approfondimento della problematica personale di verifica dell’adesione al cattolicesimo. In definitiva, Del Noce andrebbe letto più che come pensatore “militante”, come testimone di un drammatico confronto tra cultura cattolica e dimensione politico-culturale contemporanea. Questa chiave di lettura risulta particolarmente evidente nel primo capitolo, L’inizio del percorso filosofico: la libertà del soggetto, in cui si scava nella formazione liceale ed universitaria di Del Noce -avvenuta nella Torino degli anni Venti e Trenta- nel tentativo di cogliere la particolare prospettiva nella quale il grande tema filosofico della libertà si è presentato alla sua riflessione. Lo scenario che si offre agli occhi del lettore è quello di un contesto culturale particolare: una Torino intellettualmente molto vivace ed aperta alle istanze ed alle sollecitazioni della filosofia europea, ma sulla quale inizia ad incombere la pressione ideologica del regime fascista. Cresciuto in un ambiente familiare di rigida tradizione cattolica, il giovane Del Noce, apparentemente, sembra tenersi lontano dalle tematiche politiche, quasi acquietato in un “afascismo” tipico di una larga parte del mondo cattolico. Nel suo intimo, al contrario, si va svolgendo un profondo travaglio. La sua acuta sensibilità nei confronti delle forme di violenza, comprese quelle morali ed intellettuali, lo invita a cercare il dialogo con Piero Martinetti, filosofo che allora esprimeva una forma molto particolare di idealismo, aperta ad una visione metafisico-religiosa improntata ad un forte dualismo tra dimensione empirico-storica e metafisica.
La filosofia come liberazione dal finito, dal male, e come ritorno all’Uno esercita sul giovane Del Noce un grande fascino ed è per lui come un banco di prova per il suo cattolicesimo. Il volume di Andrea Paris insiste sulla “fase martinettiana”, che culmina nel quinquennio 1936-41 ed incentra su di essa il periodo giovanile del pensiero delnociano. Per l’Autore, più che nella versione di Croce e Gentile, l’idealismo è affrontato e meditato in quegli anni da Del Noce attraverso Martinetti, autore nel 1928 di un volume intitolato La libertà, dove la concezione ebraico-cristiana del libero arbitrio veniva sottoposta ad una critica serrata.
Si arriva, così, ai due capitoli centrali del libro di Paris, imperniati sul problema filosofico del libero arbitrio, che viene affrontato da due punti di vista: da una parte l’approfondimento del cartesianismo e, dall’altra, il confronto con il “dualismo metafisico” di Martinetti. La tesi di laurea sul pensiero di Malebranche, sostenuta nel 1932, fornisce a Del Noce il materiale per una serie di saggi di approfondimento che pubblica tra il 1934 ed il 1945 e che confluiranno nel secondo dopoguerra nella grande opera Riforma cattolica e filosofia moderna (del 1965 e mai rieditata).
Ci si addentra, dunque, nella parte meno nota della produzione delnociana: un tortuoso percorso entro il dibattito sul cartesianismo iniziato nel Seicento e proseguito nel pensiero francese fino al Novecento. Agli occhi dell’Autore, Del Noce contribuisce a delineare una nuova immagine di Descartes come “filosofo della libertà”, in netto contrasto rispetto alle riletture del cartesianismo come inizio del razionalismo e dell’illuminismo moderno.
Meditando e approfondendo Descartes, Malebranche e Pascal, Del Noce va elaborando la sua risposta all’idealismo contemporaneo. Risposta che viene ricostruita nel terzo capitolo del volume, Ontologia della libertà e filosofia dell’esistenza, nel quale l’Autore vuole evidenziare i punti di contatto tra Del Noce e pensatori che allora riflettevano su temi analoghi, come Pareyson e Marcel. Emerge un quadro notevolmente complesso: il pensiero delnociano si muove tra ontologismo ed esistenzialismo cercando di costruire una filosofia della contingenza radicale, interamente sospesa sul confronto tra libertà divina e umana.
L’ultimo capitolo, Intellettuali, senso comune e crisi politica, si concentra sulla dimensione socio-politica di Del Noce, attraverso l’analisi dei suoi primi scritti -in parte rimasti allora inediti- che negli anni Quaranta lo rivelano interprete della realtà italiana. Egli, infatti, tenta di comprendere il senso del dramma che l’Italia viveva allora: il crollo del regime, il ruolo degli intellettuali ed il rapporto con il “senso comune” del popolo italiano. È lo stesso Del Noce che vive l’esperienza della sinistra cristiana di Rodano e Balbo, ma che finisce per non aderire al loro movimento.
Il proposito di Andrea Paris è quello di ricostruire i sottili fili che legano le indagini politiche con i precedenti studi più strettamente filosofici, mostrando e dimostrando in questi l’origine dei giudizi particolari e “controcorrente” che Del Noce inizia a formulare allora e che lo renderanno un pensatore “scomodo”, non interamente allineato né alle posizioni cattoliche, né laiche. Accettando il rischio di incomprensione e di solitudine, dunque, Del Noce proseguirà nella sua strada di un’interpretazione “filosofica” della realtà politica contemporanea, persuaso che al di sotto degli eventi storici si giochi una partita decisiva: la scelta tra il recupero di alcune “virtualità” ancora vive ed attuali della grande tradizione filosofica classica oppure una forma di autonomia che si traduce in negazione di ogni legame, con la tradizione, con il bene comune, con il fondamento ontologico, in una parola che si traduce in “solipsismo”.
Andrea Paris, Le radici della libertà. Per un’interpretazione del pensiero di Augusto Del Noce, Marietti 1820, Genova-Milano 2008, pp. 302.
— Le radici della libertà. Per un’interpretazione del pensiero di Augusto Del Noce
sabato novembre 15, 2008
Roberta FidanziaIl 51° numero di Storiadelmondo
lunedì dicembre 31, 2007
Questo l'indice del numero 51 di Storiadelmondo
Raffaela Tortorelli, Il monachesimo italo-greco e gli insediamenti rupestri (secc. X-XII) nell'area appulo-lucana. L'esperienza monastica greca e i rapporti con il monachesimo benedettino in Puglia e nell'Italia meridionale.
Angelo Gambella, I monasteri di S. Salvatore di Alife e di S. Maria in Cingla in età normanna e sveva.
Luigi Russo, Capua agli inizi del XIX secolo. Studi sul catasto provvisorio.
Gennaro Tedesco, I problemi dell'Italia post-unitaria.
— Roberta Fidanzia
Raffaela Tortorelli, Il monachesimo italo-greco e gli insediamenti rupestri (secc. X-XII) nell'area appulo-lucana. L'esperienza monastica greca e i rapporti con il monachesimo benedettino in Puglia e nell'Italia meridionale.
Angelo Gambella, I monasteri di S. Salvatore di Alife e di S. Maria in Cingla in età normanna e sveva.
Luigi Russo, Capua agli inizi del XIX secolo. Studi sul catasto provvisorio.
Gennaro Tedesco, I problemi dell'Italia post-unitaria.
The Art of the Franciscan Order in Italy di W. R. Cook
lunedì dicembre 17, 2007
Recensione a William R. Cook (a cura di), The Art of the Franciscan Order in Italy
Il volume qui presentato è uno splendido esempio di come uno studio multidisciplinare possa portare luce su uno degli aspetti più controversi della storia del movimento francescano.
Fin dalle origini, infatti, il Francescanesimo ha professato la sua totale devozione all’ideale di povertà, sulla scia dello straordinario e nobilissimo esempio del Santo patrono d’Italia. L’Amore per Madonna Povertà è stato lo scopo sublime di Francesco ed il motore propulsore dell’Ordine.
Per questo motivo, spesso, francescani delle origini e critici più o meno contemporanei, hanno opposto all’esplosione della magnificenza dell’arte francescana, una strenua ed agguerrita resistenza, invocando una sorta di condanna verso l’estasi estetica dell’espressione artistica, nella quale vedevano la celebrazione della materialità e la contraddizione del sublime ideale.
Soprattutto, infatti, vedevano al suo interno il rifiuto palese, evidente, inaccettabile, del motivo fondativo dell’Ordine stesso. L’esaltazione della corporeità, della fisicità, ma soprattutto della ricchezza della celebrazione contrastava, secondo le interpretazioni più restrittive, con l’aspirazione ascetica alla povertà. L’amata Povertà di Francesco si scontrava con la ricchezza splendente dell’arte che ne celebrava la vita, la missione e la santità.
Questo volume di saggi, realizzato da studiosi statunitensi e britannici, presenta un’interessantissima panoramica sull’arte francescana nel tardo medioevo e nella prima età moderna in Italia, rivalutando completamente l’opera, il significato e la missione della medesima.
Attraverso la lettura dei vari saggi ivi proposti, si giunge ad una visione interdisciplinare della problematica in esame e, soprattutto, si evince che il rifiuto della bellezza estetica e della sontuosità dell’arte francescana nasce da un errore interpretativo fondamentale, che in questa sede si tenterà di contribuire a chiarire.
A partire dalla costruzione della Basilica d’Assisi, luogo in cui riposano le amate spoglie del ‘sole d’oriente’, l’Ordine francescano ha subito un movimento tellurico al suo interno, scindendosi in due correnti di pensiero opposte. La prima, appunto, che ha rifiutato tale fastosità, asserendo motivazioni ideali di conformità all’esempio del Santo. La seconda, che, di contro, ha sostenuto l’elaborazione meravigliosa dell’arte francescana, evidenziando come, nello stesso spirito di Francesco, regnasse l’ideale di esaltazione della bellezza del Creato e, necessariamente consequenziale, del suo Creatore.
La perfezione estetica dell’arte francescana non è celebrazione dell’uomo, non è auto-celebrativa ed auto-referenziale, è celebrazione del Signore, celebrazione della sublime bellezza del Creatore del cielo e della terra, e del Creatore dell’uomo, che a Lui deve ogni cosa.
È esaltazione della Sua grandezza, della Sua generosità, della Sua volontà di Bene e Bellezza. Il senso estetico è anche divulgazione della religione, dei dogmi, della fede. Attraverso le immagini della vita di Cristo e della vita di Francesco, anche gli illetterati avevano la possibilità di conoscere gli elementi fondamentali della religione cristiana.
La prima espressione sublime d’arte francescana l’ha offerta lo stesso Francesco con la rappresentazione del Presepe. La nascita del Salvatore, di Colui che si fa uomo, piccolo, umile, bisognoso, povero tra i poveri, eppure più potente di tutti i potenti. È la celebrazione dell’Amore, quell’Amore universale, nel senso che copre ed avvolge ogni creatura ed ogni schiera e che deriva dall’Unico motore della vita che è Dio. È teologia allo stato puro. Com’è teologia l’arte francescana. La costruzione della Basilica è glorificazione di Francesco, del povero Francesco, che ha amato Dio al di sopra di ogni cosa e che ha ripercorso la vita di Cristo, del Figlio salvatore. Dunque, non è rievocazione dell’uomo Francesco, ma del Santo di Dio: è esaltazione di Dio stesso. E lo stesso Francesco insegnava che per il Gran Signore, per il Gran Re, dovevano essere disposti tutti gli onori. Questo è il Poverello: il cavaliere del Gran Re, l’araldo del Gran Signore. Il suo è un ideale intriso di cavalleria, non la cavalleria di Don Chisciotte e Sancho Panza, ma la cavalleria medievale, la vera cavalleria, quella che aveva per ideale il Cristianesimo, il Cristo, Iddio. Non il giullare senza cultura, il burlone, il fanfarone che ce l’aveva con i ricchi ed i potenti, come la più mediocre vulgata lo diffonde, soprattutto ai giorni d’oggi.
Si sbaglia se non si vede in Francesco l’esempio tangibile dell’uomo medievale; si sbaglia se non si vede nell’esaltazione artistica francescana l’esaltazione del Creatore, una sorta di celebrazione della Messa, che è la celebrazione del Signore, alla portata di tutti. Chiunque può ‘leggere’ la Bibbia, chiunque può ‘leggere’ il Vangelo ed ognuno può ‘leggere’ dell’esempio dell’uomo che lo ha seguito nel più piccolo dettaglio. Attraverso gli affreschi, i dipinti, le raffigurazioni dei miracoli, le rappresentazioni degli episodi salienti della vita del Santo, ognuno può conoscere il Cristianesimo.
È chiaro che vi sarà chi ‘legge’ ad un primo livello, solo esperienziale, superficiale; chi ‘legge’ ad un livello storico ed interpretativo e chi ‘legge’ ad un terzo livello, che è quello filosofico e teologico. Ma l’elemento fondamentale è che la lettura al primo livello è accessibile a tutti quanti vogliano farlo.
L’arte francescana, quindi, è stata veicolo di divulgazione dell’opera di Francesco e del Vangelo di Cristo, ma anche strumento di elevazione, individuale e collettiva. Ha avuto influenze in ogni campo in Italia, ma anche all’estero.
Come l’opera somma di Dante, la Commedia, è arte francescana. È percorso di salvazione, visione sublime e salvifica del Divino. Non farsa strumentale e politica nel senso più bieco. La Commedia è la vita dell’uomo; rappresenta, come il francescanesimo e quindi come la sua arte, la possibilità per l’uomo di raggiungere il sommo Bene, attraverso la fede, attraverso il credo nei principi del Cristianesimo, che grazie a quest’arte sono stati resi accessibili, splendenti e non tetri, portatori di luce e non di tenebra, vivificanti nel nome di Dio e di Cristo, donatori di vita.
L’attenzione del volume è concentrata sull’Italia fino al XV secolo ed è documentata da un abbondante apparato iconografico, in parte in bianco e nero, ed in parte a colori, che rende perfettamente l’idea della linea degli Autori ed offre un tangibile esempio di quanto da essi sostenuto nei propri studi, siano essi studi storici in senso stretto, di storia dell’arte, di critica letteraria e di teologia.
Per pura utilità del Lettore, si riporta l’indice dei contenuti del Volume:
Donald Cooper, “In loco putissimo et firmissimo”: The Tomb of St. Francis in History, Legend and Art
Janet Robson, The Pilgrim’s Progress: Reinterpreting the Trecento Frasco Programme in the Lower Church at Assisi
Daniel T. Michaels, The Exterior Facade of the Basilica of St. Francis in Assisi
Marylin Aronberg Lavin, Cimabue at Assisi: The Virgin, the ‘Song of Songs’, and the Gift of Love
Thomas de Wessolow, The Date of the St Francis Cycle in the Upper Church of San Francesco at Assisi: The Evidence of Copies and Considerations of Method
Beth A. Mulwaney, The Beholder as Witness: The ‘Crib at Greccio’ from the Upper Church of San Francesco, Assisi and Franciscan Influence on Late Medieval Art in Italy
Ronald B. Herzman, ‘I Speak not yet of Proof’: Dante and the Art of Assisi
Gregory W. Ahlquist and William R. Cook, The Representation of Posthumous Miracles of St. Francis of Assisi on Thirteenth-Century Italian Painting
Nancy M. Thompson, Cooperation and Conflict: Stained Glass in the Bardi Chapel of Santa Croce
William R. Cook (a cura di), The Art of the Franciscan Order in Italy, Brill, Leiden – Boston, 2005, pp. xxi, 297, 52 pp. tavv. b.n., 47 pp. tavv. col.
— Roberta Fidanzia
Il volume qui presentato è uno splendido esempio di come uno studio multidisciplinare possa portare luce su uno degli aspetti più controversi della storia del movimento francescano.
Fin dalle origini, infatti, il Francescanesimo ha professato la sua totale devozione all’ideale di povertà, sulla scia dello straordinario e nobilissimo esempio del Santo patrono d’Italia. L’Amore per Madonna Povertà è stato lo scopo sublime di Francesco ed il motore propulsore dell’Ordine.
Per questo motivo, spesso, francescani delle origini e critici più o meno contemporanei, hanno opposto all’esplosione della magnificenza dell’arte francescana, una strenua ed agguerrita resistenza, invocando una sorta di condanna verso l’estasi estetica dell’espressione artistica, nella quale vedevano la celebrazione della materialità e la contraddizione del sublime ideale.
Soprattutto, infatti, vedevano al suo interno il rifiuto palese, evidente, inaccettabile, del motivo fondativo dell’Ordine stesso. L’esaltazione della corporeità, della fisicità, ma soprattutto della ricchezza della celebrazione contrastava, secondo le interpretazioni più restrittive, con l’aspirazione ascetica alla povertà. L’amata Povertà di Francesco si scontrava con la ricchezza splendente dell’arte che ne celebrava la vita, la missione e la santità.
Questo volume di saggi, realizzato da studiosi statunitensi e britannici, presenta un’interessantissima panoramica sull’arte francescana nel tardo medioevo e nella prima età moderna in Italia, rivalutando completamente l’opera, il significato e la missione della medesima.
Attraverso la lettura dei vari saggi ivi proposti, si giunge ad una visione interdisciplinare della problematica in esame e, soprattutto, si evince che il rifiuto della bellezza estetica e della sontuosità dell’arte francescana nasce da un errore interpretativo fondamentale, che in questa sede si tenterà di contribuire a chiarire.
A partire dalla costruzione della Basilica d’Assisi, luogo in cui riposano le amate spoglie del ‘sole d’oriente’, l’Ordine francescano ha subito un movimento tellurico al suo interno, scindendosi in due correnti di pensiero opposte. La prima, appunto, che ha rifiutato tale fastosità, asserendo motivazioni ideali di conformità all’esempio del Santo. La seconda, che, di contro, ha sostenuto l’elaborazione meravigliosa dell’arte francescana, evidenziando come, nello stesso spirito di Francesco, regnasse l’ideale di esaltazione della bellezza del Creato e, necessariamente consequenziale, del suo Creatore.
La perfezione estetica dell’arte francescana non è celebrazione dell’uomo, non è auto-celebrativa ed auto-referenziale, è celebrazione del Signore, celebrazione della sublime bellezza del Creatore del cielo e della terra, e del Creatore dell’uomo, che a Lui deve ogni cosa.
È esaltazione della Sua grandezza, della Sua generosità, della Sua volontà di Bene e Bellezza. Il senso estetico è anche divulgazione della religione, dei dogmi, della fede. Attraverso le immagini della vita di Cristo e della vita di Francesco, anche gli illetterati avevano la possibilità di conoscere gli elementi fondamentali della religione cristiana.
La prima espressione sublime d’arte francescana l’ha offerta lo stesso Francesco con la rappresentazione del Presepe. La nascita del Salvatore, di Colui che si fa uomo, piccolo, umile, bisognoso, povero tra i poveri, eppure più potente di tutti i potenti. È la celebrazione dell’Amore, quell’Amore universale, nel senso che copre ed avvolge ogni creatura ed ogni schiera e che deriva dall’Unico motore della vita che è Dio. È teologia allo stato puro. Com’è teologia l’arte francescana. La costruzione della Basilica è glorificazione di Francesco, del povero Francesco, che ha amato Dio al di sopra di ogni cosa e che ha ripercorso la vita di Cristo, del Figlio salvatore. Dunque, non è rievocazione dell’uomo Francesco, ma del Santo di Dio: è esaltazione di Dio stesso. E lo stesso Francesco insegnava che per il Gran Signore, per il Gran Re, dovevano essere disposti tutti gli onori. Questo è il Poverello: il cavaliere del Gran Re, l’araldo del Gran Signore. Il suo è un ideale intriso di cavalleria, non la cavalleria di Don Chisciotte e Sancho Panza, ma la cavalleria medievale, la vera cavalleria, quella che aveva per ideale il Cristianesimo, il Cristo, Iddio. Non il giullare senza cultura, il burlone, il fanfarone che ce l’aveva con i ricchi ed i potenti, come la più mediocre vulgata lo diffonde, soprattutto ai giorni d’oggi.
Si sbaglia se non si vede in Francesco l’esempio tangibile dell’uomo medievale; si sbaglia se non si vede nell’esaltazione artistica francescana l’esaltazione del Creatore, una sorta di celebrazione della Messa, che è la celebrazione del Signore, alla portata di tutti. Chiunque può ‘leggere’ la Bibbia, chiunque può ‘leggere’ il Vangelo ed ognuno può ‘leggere’ dell’esempio dell’uomo che lo ha seguito nel più piccolo dettaglio. Attraverso gli affreschi, i dipinti, le raffigurazioni dei miracoli, le rappresentazioni degli episodi salienti della vita del Santo, ognuno può conoscere il Cristianesimo.
È chiaro che vi sarà chi ‘legge’ ad un primo livello, solo esperienziale, superficiale; chi ‘legge’ ad un livello storico ed interpretativo e chi ‘legge’ ad un terzo livello, che è quello filosofico e teologico. Ma l’elemento fondamentale è che la lettura al primo livello è accessibile a tutti quanti vogliano farlo.
L’arte francescana, quindi, è stata veicolo di divulgazione dell’opera di Francesco e del Vangelo di Cristo, ma anche strumento di elevazione, individuale e collettiva. Ha avuto influenze in ogni campo in Italia, ma anche all’estero.
Come l’opera somma di Dante, la Commedia, è arte francescana. È percorso di salvazione, visione sublime e salvifica del Divino. Non farsa strumentale e politica nel senso più bieco. La Commedia è la vita dell’uomo; rappresenta, come il francescanesimo e quindi come la sua arte, la possibilità per l’uomo di raggiungere il sommo Bene, attraverso la fede, attraverso il credo nei principi del Cristianesimo, che grazie a quest’arte sono stati resi accessibili, splendenti e non tetri, portatori di luce e non di tenebra, vivificanti nel nome di Dio e di Cristo, donatori di vita.
L’attenzione del volume è concentrata sull’Italia fino al XV secolo ed è documentata da un abbondante apparato iconografico, in parte in bianco e nero, ed in parte a colori, che rende perfettamente l’idea della linea degli Autori ed offre un tangibile esempio di quanto da essi sostenuto nei propri studi, siano essi studi storici in senso stretto, di storia dell’arte, di critica letteraria e di teologia.
Per pura utilità del Lettore, si riporta l’indice dei contenuti del Volume:
Donald Cooper, “In loco putissimo et firmissimo”: The Tomb of St. Francis in History, Legend and Art
Janet Robson, The Pilgrim’s Progress: Reinterpreting the Trecento Frasco Programme in the Lower Church at Assisi
Daniel T. Michaels, The Exterior Facade of the Basilica of St. Francis in Assisi
Marylin Aronberg Lavin, Cimabue at Assisi: The Virgin, the ‘Song of Songs’, and the Gift of Love
Thomas de Wessolow, The Date of the St Francis Cycle in the Upper Church of San Francesco at Assisi: The Evidence of Copies and Considerations of Method
Beth A. Mulwaney, The Beholder as Witness: The ‘Crib at Greccio’ from the Upper Church of San Francesco, Assisi and Franciscan Influence on Late Medieval Art in Italy
Ronald B. Herzman, ‘I Speak not yet of Proof’: Dante and the Art of Assisi
Gregory W. Ahlquist and William R. Cook, The Representation of Posthumous Miracles of St. Francis of Assisi on Thirteenth-Century Italian Painting
Nancy M. Thompson, Cooperation and Conflict: Stained Glass in the Bardi Chapel of Santa Croce
William R. Cook (a cura di), The Art of the Franciscan Order in Italy, Brill, Leiden – Boston, 2005, pp. xxi, 297, 52 pp. tavv. b.n., 47 pp. tavv. col.
Romanitas di Sophia McDougall
sabato settembre 1, 2007
Recensione di Sophia McDougall, Romanitas.
Il primo romanzo della giovane autrice Sophia Mc Dougall è certamente una delle più affascinanti letture degli ultimi tempi, degna erede di grandi autori come J.R.R. Tolkien o l’amatissima, certamente dai cultori del fantasy, Marion Zimmer Bradley.
Sebbene non sia un fantasy nel senso stretto del termine, perché non ci sono popoli di druidi o sacerdotesse da salvare in un’epoca mitica e mitologica che si sogna ed auspica sia esistita, o non ci siano elfi ed hobbit di una fantastica Terra di Mezzo che lottano contro l’espandersi del male o draghi e giovani eroi del mondo di Fantàsia che combattono contro il nulla -si pensi a La Storia infinita di Michael Ende-, che tutto inghiotte e cancella, sin dalla prima pagina di questo corposo racconto si viene rapiti dal vortice degli eventi e dalle ‘voci’ dei personaggi protagonisti di un impero romano mai caduto, anzi ancora vivo e spettacolare come doveva essere a suo tempo.
La trama degli accadimenti è studiata nei minimi dettagli per condurre il lettore all’interno dello scenario, al punto da renderlo partecipe della storia e scegliere di volta in volta in quale personaggio immedesimarsi o contro cui schierarsi per tentare di pilotare il finale nella direzione della giustizia.
Il racconto, i dialoghi e le pause raggiungono il massimo della spontaneità e lo stile è giovane, scorrevole e spigliato. Si percepisce sin dall’inizio che la McDougall è una brillante autrice teatrale.
L’ambientazione. È estremamente affascinante risalire a come poteva essere la storia dell’umanità se solo un evento non fosse accaduto. È proprio quell’evento non svoltosi che cambia lo scenario attuale. È una specie di applicazione della teoria scientifica del multiverso, la presenza di una miriade infinita di universi paralleli creatisi dalle varie possibilità di svolgimento degli eventi. O, ancora, la ‘storia del se fosse’, di cui Umberto Maiorca è latore ufficiale nel nostro periodico “Storiadelmondo”.
A margine del volume è proposta una cronologia alternativa degli eventi storici al fine di ricostruire la ‘nuova’ storia dell’Impero romano. Ci si trova, quindi, immersi in un mondo la cui cartina geografica è segnata da confini nuovi, o meglio più che nuovi diversi, caratterizzati dai nomi che effettivamente i nostri antenati avrebbero dato alle terre scoperte, ad esempio, Mexica o Inca, o Terranova, facenti straordinariamente parte integrante dell’Impero Romano.
La Nionia - geograficamente odierno Giappone e parte del Pacifico - è, invece, il nemico del contemporaneo Impero romano ab urbe condita 2757, l’impero non assoggettato, che è necessario tenere a bada ai confini più remoti. Solo un’altra parte del globo non è Impero romano, resosi indipendente -sempre relativamente alla storia ipotizzata- di recente: il sud dell’Africa. Tutto il resto è Roma, la grande, immensa Roma.
Interessante e straordinaria è la traslitterazione di termini attuali in una specie di latino evoluto inglesizzato o in un inglese tecnologico latinizzato, nel senso che trovandosi in un impero romano del 2004 la tecnologia è simile a quella attuale, ma non può avere i termini a noi noti perché, come detto, la storia non è quella che conosciamo noi, è completamente diversa, pertanto il linguaggio, che è specchio della società dell’uomo, è differente. Si trovano, dunque, termini come longdictor o longvision, di cui non si vuole svelare il significato per lasciare il gusto al lettore di scoprirlo.
Come si è già rimarcato più volte, il romanzo è ambientato in un ipotetico Impero romano contemporaneo. Il primo elemento che salta all’occhio del lettore è l’eclatante assenza del Cristianesimo, sconfitto e cancellato poco dopo le sue origini. I Padri della Chiesa e Sant’Agostino, perni teologici e concettuali dell’essenza e sussistenza del Cristianesimo, non sono mai esistiti o, anche ammettendo la loro esistenza, non hanno svolto quel ruolo di ‘confermatori’ della nuova religione, quella che, sì, ha cambiato la storia dell’uomo.
La conseguenza più sbalorditiva è l’assenza della contrapposizione occidente/oriente. Infatti, anche l’Islam non può avere origine senza il Cristianesimo. L’Ebraismo stesso si configura come qualcosa di particolare, certamente non a larga diffusione. Quindi questo Impero romano del 2000 risulta essere una società in cui il paganesimo è radicato e il culto degli Dei rappresenta il massimo dell’espressione religiosa. Si viene immersi, dunque, soprattutto all’inizio ed al termine del romanzo, in una Roma dai marmi splendenti, dai templi alti e dai fori spaziosi, nella quale ancora vive il fasto della Domus Aurea.
I protagonisti e la trama. Tre i protagonisti principali: uno schiavo condannato alla crocifissione, sua sorella decisa a salvarlo e l’erede dell’Impero, unico uomo che può dare una svolta decisiva alla sua storia e garantirne l’esistenza. Tra di loro nasce un legame indissolubile, anche tormentato, ma sincero e leale, come può essere tra persone che credono negli stessi ideali. Numerosi i co-protagonisti che compaiono sulla scena e che coadiuvano lo svolgimento della storia. Divertente e straordinariamente attuale la descrizione di un minuscolo paese in mezzo alle Alpi, nel cuore dell’Impero, dove gli abitanti mantengono il loro linguaggio non latinizzato e nascondono schiavi e ribelli.
Una, questo il nome dell’assoluta protagonista femminile, è una giovane donna tenace, con il potere di entrare nell’animo e nella mente degli altri. Il fratello, Sulien, ha un potere analogo, ma in un certo senso opposto: può entrare nelle viscere e nel ‘meccanismo’ del corpo umano per guarirlo. Sono entrambi due guaritori, ma lei scoprirà di poterlo essere solo alla fine del romanzo. Fine che, purtroppo e per fortuna, non è una fine.
Marco, l’erede dell’Impero, infatti, vittima di una congiura che ha visto l’assassinio dei suoi genitori (ops… non lo si era detto! E non si dirà altro… dovete leggere il libro!), non è ancora al sicuro e la storia s’interrompe proprio nel momento del ‘e vissero felici e contenti’… che non c’è e lascia in attesa, impaziente almeno per la sottoscritta, di acquistare il secondo e poi il terzo volume della saga. Per sperare che, nemmeno allora, si giunga alla fine.
Sophia McDougall, Romanitas. 2757 A.U.C. L’Impero Romano vive ancora, Newton e Compton editori, 2006, pp. 551, € 9,90.
— Roberta Fidanzia
Il primo romanzo della giovane autrice Sophia Mc Dougall è certamente una delle più affascinanti letture degli ultimi tempi, degna erede di grandi autori come J.R.R. Tolkien o l’amatissima, certamente dai cultori del fantasy, Marion Zimmer Bradley.
Sebbene non sia un fantasy nel senso stretto del termine, perché non ci sono popoli di druidi o sacerdotesse da salvare in un’epoca mitica e mitologica che si sogna ed auspica sia esistita, o non ci siano elfi ed hobbit di una fantastica Terra di Mezzo che lottano contro l’espandersi del male o draghi e giovani eroi del mondo di Fantàsia che combattono contro il nulla -si pensi a La Storia infinita di Michael Ende-, che tutto inghiotte e cancella, sin dalla prima pagina di questo corposo racconto si viene rapiti dal vortice degli eventi e dalle ‘voci’ dei personaggi protagonisti di un impero romano mai caduto, anzi ancora vivo e spettacolare come doveva essere a suo tempo.
La trama degli accadimenti è studiata nei minimi dettagli per condurre il lettore all’interno dello scenario, al punto da renderlo partecipe della storia e scegliere di volta in volta in quale personaggio immedesimarsi o contro cui schierarsi per tentare di pilotare il finale nella direzione della giustizia.
Il racconto, i dialoghi e le pause raggiungono il massimo della spontaneità e lo stile è giovane, scorrevole e spigliato. Si percepisce sin dall’inizio che la McDougall è una brillante autrice teatrale.
L’ambientazione. È estremamente affascinante risalire a come poteva essere la storia dell’umanità se solo un evento non fosse accaduto. È proprio quell’evento non svoltosi che cambia lo scenario attuale. È una specie di applicazione della teoria scientifica del multiverso, la presenza di una miriade infinita di universi paralleli creatisi dalle varie possibilità di svolgimento degli eventi. O, ancora, la ‘storia del se fosse’, di cui Umberto Maiorca è latore ufficiale nel nostro periodico “Storiadelmondo”.
A margine del volume è proposta una cronologia alternativa degli eventi storici al fine di ricostruire la ‘nuova’ storia dell’Impero romano. Ci si trova, quindi, immersi in un mondo la cui cartina geografica è segnata da confini nuovi, o meglio più che nuovi diversi, caratterizzati dai nomi che effettivamente i nostri antenati avrebbero dato alle terre scoperte, ad esempio, Mexica o Inca, o Terranova, facenti straordinariamente parte integrante dell’Impero Romano.
La Nionia - geograficamente odierno Giappone e parte del Pacifico - è, invece, il nemico del contemporaneo Impero romano ab urbe condita 2757, l’impero non assoggettato, che è necessario tenere a bada ai confini più remoti. Solo un’altra parte del globo non è Impero romano, resosi indipendente -sempre relativamente alla storia ipotizzata- di recente: il sud dell’Africa. Tutto il resto è Roma, la grande, immensa Roma.
Interessante e straordinaria è la traslitterazione di termini attuali in una specie di latino evoluto inglesizzato o in un inglese tecnologico latinizzato, nel senso che trovandosi in un impero romano del 2004 la tecnologia è simile a quella attuale, ma non può avere i termini a noi noti perché, come detto, la storia non è quella che conosciamo noi, è completamente diversa, pertanto il linguaggio, che è specchio della società dell’uomo, è differente. Si trovano, dunque, termini come longdictor o longvision, di cui non si vuole svelare il significato per lasciare il gusto al lettore di scoprirlo.
Come si è già rimarcato più volte, il romanzo è ambientato in un ipotetico Impero romano contemporaneo. Il primo elemento che salta all’occhio del lettore è l’eclatante assenza del Cristianesimo, sconfitto e cancellato poco dopo le sue origini. I Padri della Chiesa e Sant’Agostino, perni teologici e concettuali dell’essenza e sussistenza del Cristianesimo, non sono mai esistiti o, anche ammettendo la loro esistenza, non hanno svolto quel ruolo di ‘confermatori’ della nuova religione, quella che, sì, ha cambiato la storia dell’uomo.
La conseguenza più sbalorditiva è l’assenza della contrapposizione occidente/oriente. Infatti, anche l’Islam non può avere origine senza il Cristianesimo. L’Ebraismo stesso si configura come qualcosa di particolare, certamente non a larga diffusione. Quindi questo Impero romano del 2000 risulta essere una società in cui il paganesimo è radicato e il culto degli Dei rappresenta il massimo dell’espressione religiosa. Si viene immersi, dunque, soprattutto all’inizio ed al termine del romanzo, in una Roma dai marmi splendenti, dai templi alti e dai fori spaziosi, nella quale ancora vive il fasto della Domus Aurea.
I protagonisti e la trama. Tre i protagonisti principali: uno schiavo condannato alla crocifissione, sua sorella decisa a salvarlo e l’erede dell’Impero, unico uomo che può dare una svolta decisiva alla sua storia e garantirne l’esistenza. Tra di loro nasce un legame indissolubile, anche tormentato, ma sincero e leale, come può essere tra persone che credono negli stessi ideali. Numerosi i co-protagonisti che compaiono sulla scena e che coadiuvano lo svolgimento della storia. Divertente e straordinariamente attuale la descrizione di un minuscolo paese in mezzo alle Alpi, nel cuore dell’Impero, dove gli abitanti mantengono il loro linguaggio non latinizzato e nascondono schiavi e ribelli.
Una, questo il nome dell’assoluta protagonista femminile, è una giovane donna tenace, con il potere di entrare nell’animo e nella mente degli altri. Il fratello, Sulien, ha un potere analogo, ma in un certo senso opposto: può entrare nelle viscere e nel ‘meccanismo’ del corpo umano per guarirlo. Sono entrambi due guaritori, ma lei scoprirà di poterlo essere solo alla fine del romanzo. Fine che, purtroppo e per fortuna, non è una fine.
Marco, l’erede dell’Impero, infatti, vittima di una congiura che ha visto l’assassinio dei suoi genitori (ops… non lo si era detto! E non si dirà altro… dovete leggere il libro!), non è ancora al sicuro e la storia s’interrompe proprio nel momento del ‘e vissero felici e contenti’… che non c’è e lascia in attesa, impaziente almeno per la sottoscritta, di acquistare il secondo e poi il terzo volume della saga. Per sperare che, nemmeno allora, si giunga alla fine.
Sophia McDougall, Romanitas. 2757 A.U.C. L’Impero Romano vive ancora, Newton e Compton editori, 2006, pp. 551, € 9,90.
Il numero 46 di Storiadelmondo
lunedì aprile 23, 2007
Nel numero 46 del 23 aprile, Storiadelmondo è lieta di ospitare, come di consueto ormai, gli Atti di IS - Internet e Storia - 5° Forum telematico 15.01 - 15.03 2007
Il Forum ha visto la partecipazione di numerosi 'auditori' telematici e di autorevoli partecipanti. Inoltre, sono stati ospitati, in funzione dell'ottimo livello degli elaborati, interventi di Diplomati del Master a Distanza in Informatica per la Storia Medievale.
Gli Atti riportano i seguenti interventi:
Monica Balestrero, Il futuro degli studi medievali: informatica umanistica e e-learning.
Domenico Priori, Quamvis autem ista sint puerilia.
Víctor Serrón, La Gripe en Uruguay 1918-1919. Textos y documentos para una historia en la red.
Gennaro Tedesco, Identità Europea e globalizzazione: contributi bizantini ed islamici.
Marialuisa Zara, Topografia antica del territorio dei comuni di Casapesenna e San Cipriano d’Aversa.
Sono inoltre presente, alcuni enterventi ed alcune comunicazioni del 5° Forum a cura della Redazione di Storiadelmondo.
Ideatore e moderatore del Forum, Angelo Gambella, il quale ha gestito l'evento con grande professionalità e di cui si riportano gli interventi di apertura e chiusura.
Il sito web è www.storiadelmondo.com
Buona lettura!
— Roberta Fidanzia
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Il Forum ha visto la partecipazione di numerosi 'auditori' telematici e di autorevoli partecipanti. Inoltre, sono stati ospitati, in funzione dell'ottimo livello degli elaborati, interventi di Diplomati del Master a Distanza in Informatica per la Storia Medievale.
Gli Atti riportano i seguenti interventi:
Monica Balestrero, Il futuro degli studi medievali: informatica umanistica e e-learning.
Domenico Priori, Quamvis autem ista sint puerilia.
Víctor Serrón, La Gripe en Uruguay 1918-1919. Textos y documentos para una historia en la red.
Gennaro Tedesco, Identità Europea e globalizzazione: contributi bizantini ed islamici.
Marialuisa Zara, Topografia antica del territorio dei comuni di Casapesenna e San Cipriano d’Aversa.
Sono inoltre presente, alcuni enterventi ed alcune comunicazioni del 5° Forum a cura della Redazione di Storiadelmondo.
Ideatore e moderatore del Forum, Angelo Gambella, il quale ha gestito l'evento con grande professionalità e di cui si riportano gli interventi di apertura e chiusura.
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