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AGENSU :: Agenzia d'informazione telematica per la storia e le Scienze Umane

Aspetti e problemi dell'evangelizzazione in America Latina (Parte 1)

giovedì ottobre 16, 2008

di Roberta Fidanzia

La Chiesa spagnola giunse in America con i conquistadores nel secondo viaggio di Cristoforo Colombo e, successivamente, ogni spedizione portò nel Nuovo Mondo altri missionari. Per primi giunsero i frati: domenicani, francescani, mercedariani, agostiniani, ecc. Da principio prevalsero i domenicani, poi i francescani ed, infine, i gesuiti.
Il passaggio dalla fede primitiva degli Aztechi e degli Incas alla disciplina del Cattolicesimo avvenne apparentemente con molta semplicità. La conquista religiosa del Nuovo Mondo fu, in realtà, un trionfo effimero: i monaci battezzarono decine di migliaia di indiani, ma questi non esitarono a riesumare i loro idoli e riti originari non appena si rese necessario fermare la distruzione dei raccolti da parte degli insetti o scongiurare la peste.
Per gli indiani, inoltre, era naturale la poligamia, che i monaci, naturalmente, combatterono tenacemente, anche se non erano aiutati dall’esempio dei conquistadores, i quali si univano a più donne indiane a dispetto dei severi ammonimenti dei frati .
Sembrava, quindi, un incontro - scontro tra i due mondi, ma grazie all’opera coraggiosa e costante di alcuni frati, che eleva la Chiesa Cattolica di quell’epoca, si riuscirono a trovare dei punti di contatto fondamentali per il successivo svolgimento della storia religiosa dell’America Latina.
L’America indiana, infatti, era pronta ad accogliere il Vangelo: le religioni degli aborigeni li rendevano aperti all’insegnamento dei monaci.
Anche se gli indios adoravano diverse e numerose divinità, tendevano al esaltarne una su tutte le altre . Gli indiani, inoltre, non solo erano preparati ad un certo monoteismo, ma anche alla promessa di una vita dopo la morte . Molti avevano credenze sul ciclo e l’inferno, su premi e punizioni al di là della tomba .
Inoltre sia agli Aztechi che agli Incas riuscì familiare l’organizzazione ecclesiastica degli spagnoli, poiché avevano già avuto un ordine sacerdotale gerarchico. II simbolo della Croce era loro familiare, alcuni dei loro antichi sacramenti erano simili a quelli cristiani: il battesimo con l’acqua era molto diffuso e fra gli Aztechi si celebrava il rito della confessione seguito dalla penitenza . Restavano comunque le difficoltà di comunicazione: la confessione per un lungo periodo di tempo venne amministrata con la mediazione degli interpreti, sulle cui capacità di tradurre appropriatamente il linguaggio dottrinale della fede si possono nutrire molti dubbi . Una vera evangelizzazione, e non una mera imposizione, si poteva ottenere rispettando ed accostandosi alle tradizioni di questi popoli per capirle e sfruttarle a vantaggio del fine ultimo, che era appunto quello di evangelizzare.
Autori di questo genere di evangelizzazione furono i frati appartenenti all’Ordine fondato dal “poverello” di Assisi, S. Francesco.
I francescani furono tra i primi frati ad arrivare in America Latina.
Il 25 aprile 1521, con la bolla papale Alias Felicis, due francescani, Juàn Capión e Francisco de los Angeles, futuro ministro generale dell’Ordine, furono autorizzati a “predicare il Vangelo, svolgere il ministero parrocchiale ed impartire i sacramenti ”, facoltà riservate al clero secolare.
Considerando che la Regola di S. Francesco era ispirata alla Parola del Vangelo, Francisco de los Angeles organizzò la missione del 1523 per il Messico scegliendo dodici frati francescani “poiché tale fu il numero dei discepoli di Cristo per la conversione del mondo ”.
Il “loro” Cristianesimo, verrà accettato da tutte le culture, mentre spesso la Chiesa, con la sua organizzazione gerarchica, con il suo potere complice della colonizzazione, con l’Inquisizione, con le guerre religiose e con il marcare differenze tra clerici e laici, uomini e donne, ecc., non sempre sarà accettata, ma, anzi, sovente, rifiutata. La povertà di questi frati francescani sarà invece il simbolo dell’accoglienza, essi godranno della benevolenza degli indios, con la loro tenerezza, delicatezza, fraternità, dedizione ai poveri e a tutti gli esseri del Creato, guadagneranno numerose anime al Vangelo.
Gli indios soffrivano sotto il giogo de los doctrineros, ovvero i loro parroci, e, specialmente, sotto quello degli encomenderos, i proprietari terrieri ai quali erano encomendados affinchè ricevessero una educazione cristiana e che, invece, sfruttavano la loro forza di lavoro rendendoli schiavi. Mentre chiedono al cielo di essere liberati dai cristiani, intesi come cristiani non i frati, ma gli spagnoli che gli mostravano un dio crudele e senza pietà, amavano molto i francescani. Agli indigeni piacevano i frati perché erano poveri e scalzi come loro e con loro si comportavano con dolcezza. L’ordine dei francescani è un ordine povero per una regione povera, essi vivevano gli ideali della generosità e della reciprocità, tipici delle culture precolombiane, che permeavano tutti gli aspetti della vita degli indios, dalla religione all’economia. L’economia incaica, per esempio, si basava sulla reciprocità e redistribuzione, intendendo per reciprocità “non solo uno scambio di lavoro, di energia umana, prima che scambio di cose, ma la permanenza delle obbigazioni derivate da tale scambio, nel tempo e nelle generazioni successive ”.
Ma questa reciprocità non era limitata al campo economico, si estendeva, anzi, anche al campo religioso.
Infatti, come mette in evidenza Steve Stern , l’obiettivo da raggiungere era il “Tincuna”, ovvero il luogo dove i due fiumi si uniscono, creando l’armonia, l’incontro con gli dei - antenati, i quali, in cambio della venerazione, concedevano la buona salute, raccolti abbondanti, ecc., mentre chi li dimenticava ne subiva la vendetta.
Anche gli Aztechi avevano una società ben organizzata e riflettente la religione: il “maceualli”, cioè l’abitante di una delle tre città federate, Messico, Texcoco e Tlacopàn, alla testa dell’impero, “pagava una imposta, ma le distribuzioni di viveri e di indumenti, che provenivano dal tributo delle province, dovevano compensarlo in larga parte ”.
Essi venerando il dio della pioggia Tlaloc ottenevano, in cambio, la pioggia per raccolti abbondanti, o se non venerato a sufficienza lo stesso dio scatenava a piacere l’uragano devastatore o la siccità.
Dicevano: "O mio signore, principe mago, a te appartiene veramente il mais ".
Questo era molto simile all’ideale cristiano francescano, basato sul lavoro comune, sulla distribuzione equa dei prodotti, sulla preghiera rivolta al Signore guadagnarsi la sua benevolenza e la salvezza eterna, il luogo dell’armonia, mentre chi viveva ignorando Dio non ne avrebbe guadagnato la benevolenza, ma rischiava di scatenarne l’ira con la conseguente dannazione eterna.
Roberta Fidanzia

Religione, Storia

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