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Il “Romanzo di Abbazia” di Lucio D’Ambra (Parte 2)

giovedì dicembre 28, 2006

Nel primo tempo, precedente al primo conflitto mondiale, Abbazia è terra austro-ungarica, teatro dei capricci e delle scorribande amorose degli arciduchi d’Austria, nipoti dell’Imperatore Franz Joseph, dal quale ognuno di essi scappa rifugiandosi nel “bel cuscino di verde e d’azzurro”.
In questo paesaggio, descritto magistralmente da D’Ambra, si svolgono le vite sfarzose e leggiadre dei principi austriaci e delle loro amanti, ballerine dell’Opéra di Vienna. Ed ecco che suonano e danzano, come in un antico carillon, musiche e costumi di fine Ottocento, “tuniche immacolate, pantaloni neri e guanti glacés”, merletti e sottovesti di seta, che le leggere donne d’Austria e d’Ungheria erano pronte a sfilare per ottenere le preziose attenzioni di un bell’arciduca.
Due su tutte risaltano: Eva Strubbel e Frida Rosen, rivali nella vita e sul palcoscenico. La prima, Eva, ungherese, è l’amante giovanissima dell’Arciduca Franz, nipote immaginario dell’Arciduca Rodolfo, unico personaggio reale, protagonista della tragedia di Mayerling.
Eva, come la prima donna, compare “vestita di luce” sullo sfondo di un’Abbazia definita, con le parole di Franz, “il paradiso in terra”.
La seconda, Frida, prima ballerina all’Opéra, è l’amante segreta, ma non troppo, di un altro bell’arciduca, Andrea, cugino di Franz. Dato il suo ruolo sociale, acquisito più per le sue grazie che per il suo valore artistico, si concede il lusso di fare il bello ed il cattivo tempo, rivaleggiando, più che con Eva, con la madre di quest’ultima, impegnata, quasi follemente, a far salire di molti gradini lo stato sociale della figlia e ad inasprirsi per ogni futile e minima manifestazione d’immagine di potere di Frida.
Sullo sfondo di danze viennesi e carrozze bardate a sei cavalli bianchi, si alternano le coppie protagoniste del primo tempo del romanzo. Dunque: Eva e Franz, Frida e Andrea, Rodolfo e Maria Vécsera, e, tra questi, il temuto nonno e padre imperatore - che pur non comparendo mai direttamente, a tratti lo s’intravede alzarsi sulla scena tuonante come Zeus fra gli dei -, ed il minuto barone von Stuck, soprannominato Arrange-tout, tant’è abile nell’arte di porre rimedio ad ogni sorta d’inconveniente alla corte imperiale. L’ex-cancelliere che, tra tanti amori clandestini e turbolenti, si mantiene fedele all’amata moglie, anche a distanza di molti anni dalla sua perdita, risulta essere la figura più commovente del primo tempo, nonché di tutto il romanzo: «Io ho troppo veduto di che cosa è fatto l’amore sporco degli altri per non accontentarmi, tanto è pulito, del mio…». La sua forza di carattere ed il suo savoir-fair, lo renderanno indispensabile e benvoluto da tutti, compresi i lettori di ieri e di oggi. Attraverso di lui è raccontata, con abile maestria, la gerarchia della società austro-ungarica precedente alla Prima Guerra mondiale. Delicatamente ironica è la descrizione del giardino che con amorevoli attenzioni egli custodisce ed ordina, come si era occupato per mezzo secolo di ordinare le cerimonie e le feste di corte: «Come alla Hofburg o al Castello di Schönbrunn le categorie sociali s’erano per lui sempre disposte in varie sale di diverso splendore e di differente grandezza stabilendo una immutabile gerarchia di precedenze protocollari, così anche nel giardino di Abbazia il vecchio cerimoniere disponeva i fiori come se fossero altrettanti invitati, ammassando i più ordinarii, quelli di scarto, nelle due grandi aiuole che, paragonabili a due immense anticamere, eran subito ai due lati del cancello d’entrata. Venivano poi, in aiuole già disegnate con più garbo ed eleganza, i garofani e le dalie ch’egli soleva chiamare “i militari e le signore borghesi”. Più in là, sempre più piccine ma più adorne facendosi le aiuole a mano a mano che si avanzava verso la grande loggia a mare, i gigli - gl’immacolati gigli, - rappresentavano le incorruttibili magistrature dello Stato, mentre alti papaveri raffiguravano, rossi e tronfii sopra i lunghi steli, i grandi funzionarii dell’Impero. Di là di queste s’apriva poi una serie d’aiuole minuscole che il barone von Stuck chiamava il Corpo diplomatico, avendo fasciata ogni aiuola con piccoli fiori dai diversi colori nazionali delle varie rappresentanze che fiorivano al sole là dentro. E finalmente, giungendo allo spiazzo davanti alla loggia […] “le azalee sono le dame di Corte e ce ne sono, come vedete, di tutt’i colori; i crisantemi – malinconia, - sono gli alti dignitari dello Stato, i membri delle illustri Accademie, i grandi letterati noiosi e gli scienziati mal vestiti e di pessimo umore; le camelie son le signore, vellutate, pompose, fastose, della più alta aristocrazia austro-ungarica. […] – e i girasoli – sono gli uomini politici, […], i ministri, i grandi parlamentari che non stanno mai fermi dalla medesima parte e il sole seguono, innamorati della sua luce su le dorature delle loro uniformi, dovunque il sole vada”. […] nell’ultima aiuola, in un disegno verde di corona principesca, il cerimoniere aveva disposto, attorno a due ciuffi di rose bianche e vermiglie, - l’Augusta Coppia imperiale, - due cerchi di ortensie, regalità dei giardini, uno azzurro, uno rosso: gli arciduchi e le Arciduchesse, la primavera umana del Castello di Schönbrunn nelle sere di gala e di festa».
Per mezzo della sua arte diplomatica, Arrange-tout riesce sempre ad alleviare le pene d’amore – e di denaro – dei giovani arciduchi e delle loro belle accompagnatrici, chiedendo ed ottenendo permessi speciali ed assegni cospicui dal vecchio imperatore, che ha ormai dimenticato d’essere stato giovane anch’egli.
Rimanendo sempre nella discrezione, che gli è propria, l’ex-cancelliere, pur non essendo il protagonista principale del romanzo, assume un ruolo fondamentale, soprattutto quando, per placare l’ira di Franz Joseph, esacerbato dai continui scandali e dalle continue rivalità fra i vari nipoti, è costretto ad allontanare Eva Strubbel dal suo Franz, spedendo letteralmente la prima, con tanto di madre arrivista e prepotente, a Vienna, ed obbligando il secondo a proseguire il suo soggiorno nella città di Abbazia.
Proprio durante questo soggiorno obbligato vedrà la luce il nuovo amore, maturo, tra l’arciduca Franz ed una bella donna italiana, Isabella Loredano, che, figlia di una grande e nobile famiglia veneziana e sposata con un pittore di grandi e disilluse speranze, per il quale ha abbandonato tutto, casa, famiglia, nome e patrimonio, lo ospiterà nella sua abitazione dandogli una modesta, ma dignitosa, camera in affitto.
Isabella è descritta da D’Ambra in modo sublime, lasciando già intravedere l’alto ruolo simbolico che questa donna avrà nello svolgersi del racconto. Costretta a vivere con una persona che, sapendo di esserle inferiore, la umilia e la maltratta, non si perde d’animo e durante le lunghe assenze del marito lavora nella bottega di loro proprietà, facendo progredire le finanze familiari e, soprattutto, crescendo suo figlio, Jacopo Zuccarin, del quale si notano sin dall’inizio le doti di coraggio e sfrontatezza ed il forte sentimento italiano, quasi marcato nel proprio codice genetico. Come quando ricevette in dono, da un messo dell’arciduca Franz, una «grossa scatola di dolci che apparve al ragazzo legata in croce da un bel nastro dai colori austriaci. Ma non appena ricevuta la scatola, il piccolo Jacopo, senza neppure ringraziare, scappò via portandola con sé.
«- Vogliate scusare, signor capitano, - disse mortificata Isabella Zuccarin, - se il ragazzo non ha ringraziato del dono né Vostra Altezza né voi. Ma la commozione del regalo ha certamente superato in lui ogni altro sentimento. Penserò io a richiamarlo, adesso, affinché faccia il dover suo…
[…] Ma non ebbe tempo, la madre, di raggiungere il corridoio e di richiamare suo figlio; che già Jacopo rientrava da sé, tenendo qualche cosa dietro il suo dorso. E, venuto a piantarsi davanti al capitano Fröhler che gli sorrideva, senza sorridere, gli dichiarò:
«- Ho molto gradito il regalo di Sua Altezza Imperiale e vi prego di ringraziarla per conto mio. I dolci – e specialmente quelli che voi mi avete scelti, - mi piacciono moltissimo. Meno piaceva, però, a me che sono Italiano, il nastro che legava la scatola. E infatti sono subito corso in camera mia per cambiarlo.
Portando avanti le mani nascoste, mostrò al capitano Fröhler, che ancóra pallidamente sorrideva, la scatola legata in croce da un bel nastro tricolore. […]
Poi, sciolto il nastro bianco e rosso e verde, offerse al capitano Fröhler, con gesto amico, la scatola aperta dei cioccolatini, tuttavia nella paura di vedere l’ufficiale d’ordinanza prendergliene più d’uno. E mentre il capitano Fröhler con una carezza del suo guanto al ragazzo rifiutava l’offerta, Jacopo spiegò all’ufficiale austriaco:
«- E sa come l’avevo, io, questo bel nastro tricolore? Neppure la mia mamma lo sa. Me l’ha comprato il babbo… Sissignore, il babbo. Me lo porto sempre alla scuola, nel taschino della mia giacca, qui dove si mette di solito il fazzoletto. E quando il maestro, insegnandoci la storia, comincia a dir male dell’Italia ai ragazzi austriaci di Abbazia, io metto fuori un po’ di questo nastro affinché il maestro si ricordi che, tra i suoi scolari, ci sono anche io, Jacopo Zuccarin, Italiano e figlio d’Italiani…»
Dietro, dunque, all’Austria, protagonista del primo tempo, rappresentata come una padrona distratta e leggera, troppo impegnata nelle sue frivolezze di corte per prestare attenzione alla vita che quotidianamente si svolgeva nella terra definita da alcuni ‘la camera da letto degli arciduchi’, vi è già, e da sempre, un’Italia che lavora in sordina, senza leggiadre ciarlerie. Ed è proprio Isabella, con le sue alte doti morali e la sua laboriosità, a rappresentare la sua patria: nobile nell’anima, bella e solare, orgogliosa e dignitosa. Anche quando, dopo aver amato per lungo tempo Franz, egli sarà costretto a lasciarla per improvvisi impegni politici, sopravvenuti all’inaspettata tragedia di Mayerling – nella quale l’erede al trono Rodolfo uccise prima la sua amante, la baronessa Maria Vécsera, probabilmente in attesa di un figlio da lui, e poi si uccise a sua volta – Isabella, nascondendogli la propria gravidanza, lo lascerà partire, trattenendo le sue lacrime ed il suo dolore e mostrando un contegno degno di una regina. Solamente il fidato barone von Stuck conoscerà il suo segreto e vivrà il resto dei suoi giorni custodendolo, non prima di aver proposto alla donna di aiutarla a liberarsi di un fardello così pesante, lui che era abituato ad aggiustare tutto, compresi simili problemi con arciduchesse avventate, e di aver ricevuto un orgoglioso rifiuto a compiere un simile atto.
«- E avevo pensato anch’io, Eccellenza, per evitare questo mio involontario delitto verso Zuccarin, questa mia non deliberata prepotenza, di fare a mia volta, criminosamente, come l’Arciduchessa… Ma non è possibile. Guardate Abbazia, Eccellenza, vedete in questo cielo, in questo mare, in questi giardini, la volontà di vita che Dio ha messa dovunque sotto gli occhi incerti degli uomini… Qui, meravigliosamente, ogni seme è fiore, è frutto. Qui tutto sboccia, si apre, fiorisce, vive. E potrei io, in tanta vita, uccidere la vita? Qui più che altrove Dio non vuole, Dio non consente. Abbazia, splendore della divinità, impone la nascita di tutto ciò che è seme del mondo, fecondità degli esseri e delle cose, ricchezza e potenza della natura, dono di Dio, ragione d’essere del Creato, incontenibile e indistruttibile vita.
Era su la porta della piccola villa. In un sorriso diede le mani ad Arrange-tout:
«- Non c’è dunque questa volta, Eccellenza, nulla da accomodare. Parlerò a Zuccarin. E il figlio di Franz sarà mio, solamente mio…
E, come se già lo sentisse vivere nel suo seno, davanti al pavido vegliardo di Corte, Isabella Loredano, sentendosi sola davanti a Dio e rivedendo Maria Vécsera madre distesa nel sangue sopra il suo letto di morte, inorgoglì della sua nuova maternità, nel sole».
Il primo tempo si chiude così, con un velo di malinconia per un amore costretto a finire e con la figura di questa forte donna italiana, unica, di fronte alle deboli arciduchesse austriache, che spesso hanno avuto bisogno di nascondere i propri errori, la quale coraggiosamente decide di assumersi le proprie responsabilità e di pagare lei, e non altri, la propria mancanza, per quanto il pagamento potesse essere alto.
Roberta Fidanzia

Libri, Cultura

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