Il “Romanzo di Abbazia” di Lucio D’Ambra.
Momenti e figure di un intellettuale italiano del primo Novecento.
Pubblicato nel 1937, Il Romanzo di Abbazia è il ritratto nitido e preciso di un’epoca, quella a cavallo della Prima Guerra Mondiale, ancora gloriosa per l’Italia, e di una città regale, Abbazia, adagiata sulla lussureggiante costa istriana e definita dallo stesso autore “dolce terra d’amore”.
Nato nella grande metropoli di Roma, D’Ambra, già nell’introduzione del romanzo, dichiara di aver sempre sentito l’esigenza di avere, accanto alla Patria grande, una piccola patria, “un cantuccio di mondo, […] uno di quei palmi di terra così piccini che, quando ci sono cari, fanno venire la voglia […] di sollevarli ad altezza del nostro petto pour les presser sur notre coeur”. Ed egli l’aveva trovato in una piccola cittadina della Costa Azzurra.
Fin quando il destino non volle strappargli prematuramente il figlio, Diego Manganella, lasciandolo solo in un paradiso indifferente alla tragedia nel quale, tanti erano i dolorosi ricordi, non poteva più vivere.
Dietro consiglio del suo caro amico francese Edmond Jaloux, anch’egli scrittore, che, nella sua lingua, ne aveva già esaltato le bellezze, conosce Abbazia e vi si trasferisce, innamorandosene al primo istante. Da questo momento, complice anche la manchevolezza in questo senso da parte del romanzo italiano, nasce il desiderio di elogiare e far conoscere “a tutti, con l’arte, quanto sia bella Abbazia”.
E così, come sulla scenografia di un teatro, sul panorama di Abbazia nascono e si alternano le vicende degli arciduchi dell’Impero Austro-Ungarico e degli italiani, vecchi e nuovi padroni di quella “Principessa lontana in riva al mare”, da sempre di sentimento italiano.
Ed è proprio questo sentimento d’italianità a guidare le fila di tutto il romanzo; da ogni sua pagina, da ogni sua frase, trapela l’amore per un’Italia che si stava costruendo, con fatica e con intenso lavoro.
Articolato in due tempi con un intermezzo, Il Romanzo di Abbazia, vuole mettere in risalto, con l’evoluzione degli eventi storici, l’evoluzione di un popolo e di una terra.
Lucio D'Ambra, pseudonimo di Renato Eduardo Manganella, 1877?-1880 / 1939-1940?, nel periodo tra le due guerre fu uno dei narratori italiani più prolifici e popolari. Fu autore mondano, versatile ed ottimista. Scrisse tra il 1891 ed il 1938. Le sue opere sono caratterizzate da una prosa brillante e da una grande inventiva. D’Ambra fu anche poeta, commediografo, organizzatore teatrale, regista, sceneggiatore e critico letterario (nel 1913 una felice intuizione critica lo spinse a parlare per primo in Italia di Proust). Dal 1916 lavorò con i maggiori registi dell’epoca, come Ugo Folena (Effetti di luce, 1916), Ivo Illuminati (Il re, le torri e gli alfieri, 1916), Augusto Genina (La signorina Ciclone, 1916), Amleto Palermi (La Bohème, 1917). Dal 1917 fu regista (Emir cavallo da circo, 1917, Ballerine, 1918, La commedia dal mio palco, 1918, Napoleoncina, 1918, L’arcolaio di Barberina, 1919, Il girotondo di undici lancieri, 1919, per un totale di una ventina di film fino a Tragedia su tre carte, 1922) e dal 1918 divenne anche produttore cinematografico (tra il ‘18 ed il ‘22 produsse una trentina di film). La sua concezione del cinema e della letteratura vede l’attività cinematografica e letteraria come un’attività artistica fondata su una perfetta ed armonica fusione tra fantasia e realtà in cui grande importanza avevano il ritmo, la scenografia, i valori luministici, cromatici e figurativi. Purtroppo, nonostante fosse un innovatore, D’Ambra non ebbe in realtà grande influsso sulla cinematografia italiana in declino negli anni Venti, mentre secondo Corrado Pavolini, in Lucio D’Ambra precursore di Lubitsch, egli influenzò ed impressionò autori come, appunto, il primo Lubitsch. In campo teatrale fonda nel 1913, con Achille Vitti, Il teatro per tutti, per la rappresentazione di commedie brevi, per lo più atti unici (tra cui la prima de Il dovere di un medico di Pirandello); nel 1923, fonda con altri Il teatro degli Italiani (all’Eliseo), nel quale si rappresentano Antona-Traversi, Bracco, Rosso di San Secondo; e nel 1932 fonda La baracca e i burattini. Nel campo della produzione letteraria chiari risultano gli influssi francesi. Legge Balzac, Bourget, Zola, ed in particolare per Il Romanzo di Abbazia s’ispira a Edmond Jaloux e all’italiano Arturo Marpicati. Il suo stile alterna leggerezza ed eleganza a magniloquenza retorica. Mantiene nelle sue opere, ed evidente è in questa, l’etica conservatrice, che confluirà nell’ideologia fascista. Sono frequentemente presenti elementi di dannunzianesimo, vene di romanticismo e notevole è il piglio moralista.
— Il “Romanzo di Abbazia” di Lucio D’Ambra (Parte 1)
mercoledì dicembre 27, 2006
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