Luis de Molina. La vita e le opere principali
di Roberta Fidanzia
Teologo, filososofo e giurista, Luis de Molina, nato in Spagna nel 1535, è stato una delle figure più interessanti e colte della Penisola Iberica del XVI secolo.
Nel 1551 inizia gli studi di Diritto a Salamanca, che lasceranno in lui un segno profondo, tanto da fargli maturare, in età avanzata, la sua opera politica più grande: De Iustitia et iure. L’apprezzamento di questa materia, da parte sua, contrasta con l’avversione che, invece, nutrivano nei suoi confronti, due contemporanei importanti di Molina: Lutero e Calvino.
Nel 1553 si reca a Sant’Ignazio come novizio e due anni dopo inizia gli studi di filosofia. Tra il 1559 ed il 1562 compie gli studi di teologia. Tra il 1562 ed il 1563 viene destinato ad Evora a sostituire il professor Jorge Serao e a terminare il suo dottorato. Successivamente viene trasferito a Coimbra, ma torna ad Evora nel 1567, dove inizia l’insegnamento di teologia ottenendo ampio successo di pubblico. Nel 1577 la peste colpisce Evora e la scarsissima affluenza di studenti nell’università favorisce il riposo di Molina che si dedica alla stesura di importanti testi. È in questo periodo che porterà a termine i cinque volumi dell’opera De Iustitia et Iure.
Nel 1583 inizia a scrivere la Concordia, nome con il quale è largamente conosciuta l’opera Liberi Arbitrii cum Gratiae donis, divina praescientia, providentia, praedestinatione et reprobatione Concordia, ovvero Concordanza del libero arbitrio umano con i doni della grazia, della divina prescienza, della provvidenza, della predestinazione e della condanna. La stesura di quest’opera, però, gli procura violenti attacchi, soprattutto da parte dei domenicani – in particolare Domingo Bañez –, e nel 1586 deve lasciare Evora per recarsi a Lisbona. Chiede il permesso per la pubblicazione dell’opera e, dopo alcune correzioni e moltissime difficoltà, nel 1588 ottiene l’autorizzazione dell’Ordine di Roma e del Tribunale dell’Inquisizione portoghese. Tra il 1591 ed il 1597 s’infiamma la discussione sulle tesi di Molina e del suo avversario Bañez. I due teologi si accusano reciprocamente di eresia: Molina è accusato di pelagianesimo e Bañez di aver scritto opere dalle quali Lutero avrebbe dedotto le sue idee eretiche.
Nessuno dei due vedrà la soluzione della questione: Molina muore il 12 ottobe 1600, Bañez il 22 ottobre 1604. Solamente nel 1607 la Chiesa stabilirà che né l’opera di Molina e dei suoi seguaci era pelagiana, né quella di Bañez e dei domenicani era luterana o calvinista.
Come già evidenziato, due sono le opere più importanti di Molina: dal punto di vista teologico la Concordia, mentre dal punto di vista filosofico-politico il De Iustitia et Iure, che da molti studiosi è considerata la sua opera magna, in quanto in essa Molina esprime con particolare efficacia la sua prospettiva liberale classica su questioni economiche, politiche e giuridiche.
Tutto il pensiero di Molina è permeato da una profonda fede nella libera scelta della persona umana e ruota intorno alla definizione del concetto dell’agente attivo. “Si dice libero l’agente che [...] è in grado di agire e di non agire, oppure è in grado di fare qualcosa in certo modo, così come di farla in modo contrario”. Dal punto di vista teologico la sua concezione della libertà della volontà si traduce nella comprensione della natura della libera azione umana alla luce della grazia di Dio e della divina precomprensione. Il suo concetto di libertà – potere di autodeterminazione – dedotto sia teologicamente che filosoficamente, dà impulso e sostiene il suo pensiero relativamente alla capacità dell’uomo di operare il bene. Secondo Molina – e per questo accusato, principalmente da Domingo Bañez, di pelagianesimo – l’uomo senza l’intervento della grazia può porre in atto azioni virtuose, anche caritatevoli; può resistere alle tentazioni, anche gravissime; può raggiungere il suo fine naturale. Tutto ciò sembrerebbe dare all’uomo un’autonomia eccessiva, ma questo è solo uno degli aspetti, interessantissimi, del pensiero di Molina. Questi stessi principi aprono un cerchio che sembra essere, forse, troppo stretto e chiuso. La chiave è il concetto di concausalità: le concause che producono uno stesso effetto hanno una certa uguaglianza, hanno qualcosa in comune, che non esclude la corrispondente subordinazione specifica. L’effetto è unico e indivisibile, ma con relazioni specifiche diverse, a seconda delle cause che concorrono nella sua produzione, in quanto ognuna di esse apporta un elemento specificante. Questo è l’elemento fondamentale per capire come Dio per la perfezione della Sua sapienza, che non ha bisogno dell’oggetto, per mezzo della Sua supercomprensione, può conoscere il precipuo della causa libera anche prima che questa produca il suo effetto nella realtà. Questa scienza di Dio, secondo Molina, è insieme perfettissima, ma non necessaria, ovvero potrebbe conoscere altre determinazioni creaturali ed è essa stessa contingente senza essere libera. È la “scienza media” e tramite essa, Molina, cerca di trovare una spiegazione coerente al problema della predestinazione, argomento portante della sua indagine speculativa, unitamente ed in stretta relazione ai concetti di libertà, grazia, rapporto Dio-uomo.
Nell’opera Liberi Arbitrii cum Gratiae donis, divina praescientia, providentia, praedestinatione et reprobatione Concordia (Lisbona 1588), Molina difende “un sistema chiamato ‘scienza media’, per il fatto di trovarsi, questa conoscenza, tra quella di mero intelletto e quella della visione suprema, al fine di far concordare la grazia divina con l’arbitrio. [...] Dio, grazie alla scienza della semplice intelligenza, vede tutto il possibile; grazie alla scienza media conosce quello che liberamente farebbe ogni volontà nell’ordine ad essa corrispondente. Egli vuole salvare tutti gli uomini, a condizione che anch’essi lo vogliano; perciò concede a tutti gli strumenti sufficienti, anche se non nella medesima misura. Tramite la scienza della visione conosce quelli che si salveranno e quelli che non si salveranno, e predestina ognuno alla gloria o all’inferno. La grazia, dunque, sarà efficace se cooperiamo con la nostra volontà. Questa collaborazione rende la grazia efficace in acto secundo. La grazia efficace in acto primo dipende solo da Dio” . Tentando di spiegare ulteriormente: per Dio la determinazione della creatura non è casuale, dunque la conoscenza che Egli ha eternamente di essa è metafisicamente certa. Tutto ciò presuppone in Dio un decreto eterno di comunicare con intenzione sincera e volontà seria per ottenere il consenso dell’uomo, senza però determinarlo. Perciò questa grazia efficace, anche se in acto primo, è un beneficio speciale di Dio rispetto alla grazia puramente sufficiente. In questo modo rimane salva la libertà umana, senza sminuire in nulla e per nulla il dominio supremo e la bontà di Dio.
L’idea di libertà umana forma le basi della nozione di società civile di Molina: mediante la grazia di Dio, le persone sono libere di esprimere in modo virtuoso il loro essere cittadini e di prendere decisioni su loro stesse relativamente a materie che riguardano il benessere materiale e spirituale. Molina afferma l’importanza della libertà individuale nel libero scambio e si oppone alla regolamentazione governativa dei prezzi e dei mercati. Condanna il mercato degli schiavi ritenendolo immorale e sostiene la proprietà privata.
Il testo fondamentale in cui si esprime la filosofia politica di Molina è il De Iustitia et Iure, composto di trattati e di 760 dispute etiche e giuridiche, nelle quali, inoltre, egli giustifica il tirannicidio, proprio in funzione del principio di libertà dell’uomo come agente attivo della volontà di Dio, e argomentando delle pene postpone il fine correttivo e reintegrativo nella società al bene comune della società, in quanto “il giudice non deve mirare tanto al bene del delinquente, quanto al bene comune della repubblica”.
Il piano dell’opera di Molina è molto originale ed interessante e trae ispirazioe dalla classificazione della giustizia di Aristotele. L’opera di Molina è influenzata dalla filosofia di San Tommaso e, inoltre, dalle idee di due domenicani a lui contemporanei: Vittoria e Soto.
Il trattato di Molina sull’origine e la natura della società civile si radica nella linea aristotelico-tomistica. Egli postula tre gruppi di ragioni all’origine della società politica. Le prime due costituiscono la base naturale per le funzioni ‘direttive’ dello stato: l’indigentia (l’istintivo razionale senso del bisogno) e la socialitas (che assicura la possibilità dello sviluppo umano). La terza è responsabile per il potere ‘coercitivo’ dello stato: l’eventus peccati (l’effetto della colpa originale).
Per Molina l’uso diretto del potere è conferito ai governatori attraverso una communicatio o concessio con le quali si rende inattiva la residua naturale autorità del popolo, ma la si lascia intatta. In un certo senso la si pone in stato di ‘attesa’. Pertanto rimane valido il diritto di resistenza al tiranno. Anche nel rapporto tra Stato e Chiesa, Molina utilizza il metodo dello stato di attesa: di regola il Papa non ha potere diretto d’intervento nelle questioni temporali, eccetto che nel suo Stato. Ma Molina concede alcune circostanze pratiche particolari nelle quali il Papa può intervenire nella giurisdizione temporale.
Nella sua indagine speculativa Molina si sofferma anche sulla definizione e divisione della legge, sulla relazione tra diritto naturale e ius gentium, nonché sulla relazione tra la legge positiva e problemi economici come l’imposizione delle tasse.
In conclusione si può dire che la filosofia politica di Molina sia realistica, considerando l’uomo nel contesto della storia a lui contingente; il suo pensiero sia personale, ponendo la libertà individuale al centro di tutta la sua speculazione; che la sua visione della società civile sia ampiamente democratica, considerando la possibile forte opposizione che il popolo potrebbe opporre ad un tiranno, ovvero ad un usurpatore dell’autorità.
— Luis de Molina. La vita e le opere principali
sabato dicembre 23, 2006
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