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In Adriatico nell’Antichità e nell’Alto Medioevo

martedì novembre 28, 2006

Luigi Tomaz, In Adriatico nell’Antichità e nell’Alto Medioevo


In Adriatico nell’Antichità e nell’Alto Medioevo è il titolo dell’impegnativo volume di Luigi Tomaz, che nasce, come dallo stesso Autore dichiarato, dall’esigenza di raccontare la verità storica delle terre adriatiche, quelle terre che per tanti Italiani hanno significato la vita, ma più ancora la propria dignità e l’amor di patria uniti a tanto dolore e profonda nostalgia per averle dovute lasciare in nome di ideali più grandi ed importanti: la democrazia e la libertà. Queste terre ancora oggi rappresentano, nella memoria di istriani, fiumani e dalmati, una radice che non può essere recisa; anzi questa radice chiede con forza di essere piantata nuovamente nella coscienza della patria cui appartiene. Quella patria del cuore che anche il famoso scrittore Lucio D’Ambra, romano di nascita, cittadino di Abbazia per adozione, nomina nel suo romanzo dedicato a questa splendida cittadina rivierasca, una patria che richiede cura e dedizione affinché non si spenga la tenue fiamma del suo ricordo.
La memoria, la storia, la verità, sono, o dovrebbero essere, lo scopo di ogni storico. Tomaz non si ritiene storico, o per lo meno lascia intendere di non avere “i gradi sul berretto” per definirsi professionista della Storia e, forse, è proprio questa sua caratteristica a renderlo libero di scrivere la Storia. Anche il Prof. Arnaldo Mauri, che ha curato la presentazione del volume e che – si evince chiaramente dalle sue parole – se ne è fatto trasportare e coinvolgere razionalmente, sentimentalmente e, si può azzardare, anche ‘fisicamente’, nel riconoscere la passione morale di Tomaz, rende perfettamente merito alla scientificità e professionalità del suo lavoro. Infatti, anche ad una prima lettura superficiale del volume, si capisce perfettamente che la sua dovizia di particolari unita alla testimonianza di abbondantissime fonti, fanno di questo lavoro un’opera quanto meno meritoria e, soprattutto, necessaria nell’odierno panorama editoriale.
L’Autore non è nuovo a queste tematiche, anzi è ben noto ai ‘cultori della materia’ per le sue approfondite e circostanziate ricerche storiche: Le Chiese Minori di Cherso, Le quattro giornate di Cherso 12-15 giugno 1797 in difesa del Gonfalone di San Marco, La Galìa Chersana: un’isola e la sua Galea per sei secoli nell’Armata di San Marco, sono solo alcuni dei suoi titoli dedicati alla storia istriana e dalmata. Forse perché esule, forse perché originario di quelle terre cui si nega ogni assonanza culturale all’Italia, Tomaz sente come esigenza primaria, “intima”, quella di “cercare e raccontare quanto chi avrebbe il dovere di farlo non fa”.
Nell’Introduzione al libro egli si richiama all’insegnamento ricevuto dai Maestri di scuola, della scuola che ancora riteneva la sua missione “educativa ai grandi ideali” e non, con qualche felice eccezione, sostanziale ‘parcheggio’ di alunni indisciplinati ed arroganti, che usano gli ‘ideali’ per proprio tornaconto.
E dal ricordo di Tomaz emergono delle immagini vivide e vive: “l’arrivo del doge Pietro Orseolo con cento navi splendenti di armati e di vessilli, in una data tonda tonda, che un ragazzo non dimentica: l’anno mille”. Scrive: “Il mio maestro ci insegnava che proprio in seguito all’arrivo del doge noi parlavamo il nostro dialetto che era veneto e che tale era divenuto durante sette lunghi secoli evolvendosi dall’originaria parlata neolatina nella quale l’istriano antico, che ancora non è estinto, s’incontrava col dalmatico che nella vicina isola di Veglia aveva ceduto definitivamente al veneto ai tempi dei nostri nonni. Più tardi nel De Vulgari eloquentia trovai che Dante, setacciando i parlari italici, aveva posto nel crivello sia quello degli Aquilegienses, sia quello degli Yistriani che qualcuno poi ha voluto chiamare istrioto”. E dal ricordo personale l’Autore arriva diritto al cuore della storia e della storiografia. Perché le invasioni barbariche sono definite dalle storiografie slavo-germaniche “movimenti dei popoli”? E la storia prima dell’anno Mille? L’insediamento romano, la cultura latina, l’economia marittima negli scambi con l’altra sponda adriatica? Sono domande alle quali l’Autore risponde con sapienza e tecnica storica e per le quali dà qualche anticipazione nelle sue prime pagine. “Quando Roma, con guerre interminabili, stava affrontando i popoli etruschi, latini, italici e greci che la circondavano sul versante occidentale della penisola appenninica, l’Adriatico era un mare illirico, etrusco, italico e greco lungo l’una e l’altra delle sue sponde parallele affacciate sull’ampio canale che porta il Mediterraneo verso il centro dell’Europa”. Ed ecco una situazione ben definita: un incrocio di popoli, un incontro di culture, uno scambio di economie. Questo era l’Adriatico sin dal VI secolo a.C.
Il Volume si snoda, successivamente, attraverso quindici secoli di storia e passando dalla storia dell’Impero romano ai primi martiri cristiani adriatici, da Carlo Magno alla nascita di Venezia, dalle razzie slave al pericolo saraceno, dalla divisione tra Oriente ed Occidente all’arrivo del Doge Orseolo ed alla sua importante funzione storico-politica nella pacificazione e nella definitiva unione con Venezia, porta il lettore e lo studioso al cuore della storia dell’Adriatico.
Ed è proprio l’appartenenza alla cultura latino-veneta ad essere l’oggetto ed il soggetto del testo e della storia dell’Adriatico orientale. E si ritorna al concetto di partenza: la comune radice culturale, identitaria che non può e non deve essere rimossa. Come la filosofa Simone Weil, che esprimeva nelle sue bellissime pagine il dolore dello sradicamento, il male morale del distacco da un’appartenenza, il malheur di vivere lontano dalle proprie cose, intese nel senso di abitudini, immagini, paesaggi, voci e rumori, così anche in un testo storico di indubbio valore, si può leggere tra le righe della ferma volontà di raccontare la storia attraverso documenti, che a volte possono sembrare aridi e freddi, il calore e la passione verso la verità e verso le proprie origini. Il bisogno di manifestare e di sfogare la propria cultura, la propria identità, sono ancora più evidenti nel riportare in appendice documenti antichi e medievali, fotografie di reperti archeologici, di monete, di archi romani e di chiese medievali di chiara manifattura ed architettura italica, o meglio latino-veneta, che oltre a rendere più valido ed apprezzato il lavoro scientifico, gli rendono anche il giusto merito dal punto di vista sociale e morale.

Roberta Fidanzia
Roberta Fidanzia

Recensioni, Medioevo

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