La necessità e la volontà di elaborare una Carta Costituzionale Europea hanno portato come conseguenza quella di evidenziare i fondamenti ideali dell’Europa radicati nella storia, nella cultura e nella religione. Proprio su quest’ultima si basa il dibattito politico attuale: inserire o meno nella Carta Europea un richiamo ai principi religiosi cristiani come base dell’unità culturale, storica e politica dell’Europa. È fuori da ogni dubbio che l’Europa medievale sia stata un’Europa cristiana e che il Medioevo italiano ed europeo sia stato un Medioevo Cristiano, come si evince dal significativo titolo di un’opera di grande rilievo del noto medievista Raffaello Morghen. E proprio in quest’ottica europeista s’inserisce l’interpretazione dell’Europa medievale di Franco Cardini. Nelle pagine del primo capitolo, La mia Giovanna, del libro dedicato a Giovanna d’Arco, l’Autore spiega come, partendo dalla passione giovanile, poi professionale e storica, per l’affascinante Pulzella d’Orléans, sia giunto ad una “delle poche convinzioni chiare e nette delle quali possa vantarmi: il mio deciso e rigoroso europeismo, il mio sentirmi sempre e prima di tutto – a livello civico non meno che culturale – un cittadino d’Europa” (pag. 9), passando dallo studio dell’avversario più acerrimo di Giovanna, Filippo il Buono duca di Borgogna. “E il ducato di Borgogna fra Tre e Quattrocento – con quel suo impiantarsi così fascinoso al confine tra Francia e Germania, con quel suo estendersi dall’Olanda alla Svizzera, con quella sua politica dei grandi orizzonti che andava dalla Spagna all’Italia fino ai bordi dell’Asia – mi sembrava rappresentare idealmente e perfettamente una specie di compendio anticipato d’Europa” (pag. 9).
Quest’Europa è lo scenario sul quale vive, si muove e muore la protagonista di una delle più affascinanti vicende del tardo medioevo, la “pulzella” Giovanna d’Arco.
Cardini, iniziando la sua trattazione dalla definizione della forma più probabile del suo nome – Jeannette Tart, data la pronuncia “dura del francese parlato tra Vosgi e Lorena” (pag. 11) -, descrive la figura moderna di questa donna sospesa tra la Chiesa e l’eresia, tra l’identità francese e la marginalità della sua regione natale, tra l’orgoglio di una femminile verginità, valore profondamente cristiano, e la rivendicazione del ruolo femminile nella società unito al contraddittorio rifiuto per gli abiti femminili, tra la fragilità fisica unita alla fermezza della fede religiosa e la forza morale e fisica per sostenere la guerra, contro una “fede ispirata alla pace e alla carità come la cristiana” (pag. 11).
È proprio dall’insieme di queste contraddizioni, forse solo apparenti, che emerge il profilo moderno ed affascinante di Giovanna.
L’Autore, che non nasconde la sua passione per la giovane donna di Francia, racconta la sua vita ed il suo personaggio con elegante abilità letteraria e regala al lettore un’immagine vivida e viva di Giovanna, come nel momento in cui ne narra l’inizio del trionfo: “la notizia dell’arrivo di Giovanna e delle sue profezie si era sparsa rapidamente, e dentro le mura la si accolse come una liberatrice. Il suo ingresso fu trionfale: incedeva come i santi guerrieri delle apparizioni su un grande cavallo bianco, chiusa nella risplendente armatura nuova, impugnando lo stendardo candido e seguita dal ‘Bastardo d’Orléans’ [...]. La gente si accalcava intorno alla Pulzella, felice di riuscire a toccarne le armi o il cavallo. Giovanna inviò [...] tre lettere di sfida agli inglesi: si trattava di missive perentorie nelle quali la sicurezza del mandato divino sonava come superba sicurezza, ma che erano tuttavia accompagnate – un apparente paradosso – anche da espressioni umili e quasi imploranti. Sgombrassero subito il campo, nel nome del Signore, secondo la Sua volontà. Gli inglesi risposero immediatamente e con insolenza: i due massimi titoli d’onore della Pulzella, il rapporto con le «voci» e la verginità, per loro erano sinonimi di «strega» e «puttana»; dal ponte essa ebbe uno scambio piuttosto brutale d’invettive col capitano inglese Glasdale, da lei chiamato per dileggio Glacidas, una parola che ricordava il gracidar delle rane. Quest’ultima idea poteva esserle venuta in mente dal contesto fluviale in cui si svolse il dialogo-sfida: ma sta di fatto che, di lì a poco, Glasdale sarebbe morto proprio annegando nel fiume, tirato in acqua dalle sue armi. Si disse più tardi che la Pulzella gli avesse predetto quella fine: il che contribuì da parte dei suoi sostenitori alla sua fama di profetessa, in campo avverso a quella di strega” (pag. 55).
Ecco, dunque, la Giovanna di Cardini vivere nuovamente la sua avventura terrena, trionfante e quasi spavalda, con attitudini non comuni per una giovane donna del tardo medioevo. La Pulzella combatte, si ferisce più volte, attacca e sconfingge le fortezze inglesi. È una “Giovanna cavaliere [e] quello era il suo bel maggio di gloria”.
Nella personalità di Giovanna ricorrono con vigore, oltre l’importante tema della guerra, i temi della regalità sacra. La Pulzella, infatti, dopo le prime vittorie contro gli inglesi, guidata dalle «voci», insiste sulla cerimonia di unzione del delfino. Cerimonia non necessaria dal punto di vista giuridico, bensì importante dal punto di vista sacro-popolare. Appare, quindi, il fondamentale motivo della religione popolare, dei riti popolari, quasi superstiziosi. E Cardini collega, in un certo senso come Jacques Le Goff, il sentimento della religiosità, della regalità sacra, a quello dell’identità nazionale. Con una fondamentale differenza: Le Goff si riferisce all’idea europea; Cardini a quella nazionale. Infatti, il primo abbozzo dell’Europa, secondo l’interpretazione di Le Goff, si è fondato su una duplice base: la diversificazione tra i vari popoli e regni fondati su tradizioni diverse tra loro e la cristianità, elemento comune e fondante, che modellava ed uniformava la religione e la cultura dei diversi popoli europei. In questo modo, sempre secondo lo storico francese, fin dalle sue origini l’Europa dimostra che l’unità può nascere dalla diversità delle nazioni.
Dal canto suo Cardini pone l’accento sul sentimento nazionale e sull’identità cristiana europea: “La mistica della regalità sacra era strettamente connessa, in Giovanna, a quella della nazione francese. Il sentimento nazionale, nel senso moderno del termine, ha senza dubbio radici medievali: nel pieno del XII secolo l’Europa, come luogo delle identità e delle diversità, aveva cominciato a disegnarsi nelle sue variabili all’interno del complesso unitario del corpus christianorum, della sancta Romana res publica, della cristianità latina” (pag. 58). Sotto la stessa cristianità le croci francese e inglese, l’una bianca e l’altra rossa, si fronteggiano e contrappongono.
In tal modo la Pulzella, una volta fatta prigioniera dagli inglesi, diviene l’obiettivo da distruggere per distruggere i francesi. “La questione era [...] politica: giudici e assessori erano tutti legati con certezza – sia pur non in egual misura – alla causa anglo-borgognona, e il loro scopo ultimo era colpire irrimediabilmente la credibilità e la rispettabilità del «re di Bourges». Una volta provato che l’autentica, sostanziale e principale protagonista e promotrice dell’incoronazione di Carlo VII a Reims era un’eretica, la reputazione di questi e della sua corona sarebbe stata compromessa per sempre” (pag. 92).
Il confronto tra Giovanna e i suoi giudici era sicuramente impari, nonostante la sicurezza che Dio fosse con lei, il che diminuiva, da parte sua, il senso di paura nei confronti dei teologi inquisitori che le si presentavano di fronte, mentre “essi provavano forse di fronte a lei, pur nascondendolo, qualcosa di simile ad un sentimento di ammirazione per certi versi, di paura per certi altri” (pag. 99). Il duello fra Giovanna ed i suoi giudici è il “duello fra il carisma e le istituzioni; tra l’impetuosa energia profetica di chi si sente direttamente investito da una missione divina e la ferma coscienza di chi gli contrappone le norme e gli argini stabiliti dalle regole teologiche, da quelle gerarchiche, da quelle giudiriche; tra le ragioni di chi sente d’aver ricevuto una chiamata e le ragioni di chi ritiene che non vi sia chiamata che non vada sottoposta alla disciplina delle mediazioni e delle verifiche” (pag. 99).
Fu proprio questo ‘diretto’ contatto con le «voci» a fungere da arma contro di lei, soprattutto nei momenti in cui Giovanna si era trovata in contrasto con esse. “A Melun, una volta annunziatale la cattura, aveva sentito di preferire la morte alla prigionia; a Beaurevoir aveva tentato una fuga che l’avrebbe messa al riparo da un amaro calice che le «voci» le avevano annunziato e che essa non si sentiva di bere fino alla feccia. Superba davanti alla Chiesa nel nome delle «voci», si era rivelata poi disobbediente anche dinanzi ad esse” (pag. 114).
E da questo momento prende avvio l’epilogo dell’avventura terrena di Giovanna. L’Autore, riportando ogni documento, narra con dovizia di particolari ogni istante del processo rivolto alla Pulzella. Fino alla tragica conclusione: il rogo di Rouen del 30 maggio 1431.
Da quel momento è nato il mito di Giovanna d’Arco: già prima della sua morte e sin d’allora, Giovanna la Pulzella è stata oggetto di studio, a volte o spesso non scientificamente storico, è stata creduta e interpretata come “eroina catto-nazionalista «di destra» o femminista-contestataria e magari cripto-omosessuale «di sinistra»” (pag. 166).
Cardini, dando pieno sfogo alla sua preparazione storica, non meno che filosofica, appassionata, conclude, forse un po’ amaramente, con queste parole: “Giovanna come fonte inesauribile d’ispirazione: bambina e soldato, donna e martire, profetessa e visionaria, devota e ribelle, patriota e santa. Cose che, tutte, si possono interpretare alla luce dell’et-et o dell’aut-aut: e questa è un’ulteriore ambiguità, un’ulteriore provocazione. Una donna per tutte le stagioni” (pag. 167).
Roberta Fidanzia
Franco Cardini, Giovanna d’Arco, Mondadori.
— Franco Cardini, Giovanna d’Arco
mercoledì novembre 22, 2006
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