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AGENSU :: Agenzia d'informazione telematica per la storia e le Scienze Umane

Il Breve Chronicon Northmannicum

sabato dicembre 23, 2006

Il Breve Chronicon Northmannicum, compilato da un anomimo pugliese all'inizio dell'XII secolo, è una fonte preziosa della conquista normanna della Puglia.

Il Chronicon spazia dal 1041 al 1085, dalla prima massiccia invasione dei guerrieri normanni della Puglia bizantina, alla morte del "glorioso" duca Roberto Guiscardo.

I primi normanni, giunti in Puglia al soldo dei longobardi, presto travolgono i greci di Michele Dokeianos (1042), e già nel 1045 hanno in Guglielmo Fortebraccio, un Altavilla, il primo conte di Puglia. I capi normanni si disputano fra di loro le grandi città marittime pugliesi, Brindisi, Bari, Trani, Otranto, Oria, Taranto. Ogni tentativo di difesa, opposto dagli imperatori che si susseguono sul trono di Costantipoli, sembrano invani. Neppure papa Leone IX riesce ad avere la meglio dei normanni (1053) e papa Niccolò II deve riconoscere il conte Roberto nel ducato di Puglia, Calabria e Sicilia, quest'ultima da strappare agli arabi (1059). Prima che entri da trionfatore in Palermo (1072) Roberto deve ancora vincere le ultime resistenze bizantine (1061-70). Il duca Roberto, quindi, assedia e espugna la longobarda Salerno che ancora gli resisteva (1074).
Il duca, che aveva in animo la conquista dell'impero, sbarca sulla coste elleniche e vince Alessio a Durazzo (1081). Intanto Enrico re di Germania depone papa Gregorio VII ed insedia Guiberto di Ravenna (1084), il Guiscardo accorre in soccorso del papa, scaccia le truppe teutoniche e saccheggia Roma. Gregorio VII muore a Salerno (1085) e quello stesso anno muore l'eroe normanno, il duca Roberto, che è seppellito a Venosa.

La prima edizione del Chronicon è stata curata da L.A. Muratori nel V tomo dei Rerum Italicarum Scriptores, sulla base del testo fattogli pervenire da Pietro Polidori, ricavato da un codice del XII-XIII sec., e da una copia del 1530ca, dei quali si è persa ogni traccia. Ritenuto un falso da G. Guerrieri, è al contrario, una fonte autentica. L'edizione elettronica riprende il testo edito dal Muratori, e rimandiamo per tutte le notizie all'ottimo E. Cuozzo, Il Breve Chronicon Northmannicum, 1971.
Angelo Gambella

Storia, Medioevo

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L'abbazia di Santa Maria di Kàlena di Peschici

venerdì dicembre 22, 2006

Petizione per salvare la struttura religiosa medievale

L'abbazia di Santa Maria di Kàlena, in agro di Peschici, è da tempo in condizioni degradanti e bisognosa di notevoli interventi.
Eretta forse già nel IX secolo, inizialmente vedeva la presenza di monaci basiliani. Un atto di donazione del 1023 ricorda l'ecclesia in loco qui vocatur Kàlena cuius vocabulum est sancta Maria dove i monaci erano sottoposti alla regola benedettina.
Nel 1058 il cenobio divenne abbazia e con concessioni e conferme di papi ed imperatori i suoi beni si estesero in un ampio territorio della Puglia.

La petizione, disponibile online, è stata promossa dall’Associazione Italia Nostra e dal Centro Studi Martella di Peschici ed ha raccolto, finora, numerose sottoscrizioni.
Angelo Gambella

Attualità, Medioevo

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Ispirazione religiosa e laicità della politica

venerdì dicembre 22, 2006

Marco Mari, Ispirazione religiosa e laicità della politica. L’esperienza cristiano-sociale di Gerardo Bruni.


Obiettivo dello studio di Marco Mari, Ispirazione religiosa e laicità della politica. L’esperienza cristiano-sociale di Gerardo Bruni, è quello di ricostruire il pensiero filosofico di Bruni sulla base della sua esperienza storica e politica, in un particolare momento della nostra nazione quale fu quello dell’ultima fase della II guerra mondiale e dell’immediato dopoguerra, in cui la ricostruzione socia-le, politica e morale dell’Italia era necessaria ed urgente.
Attraverso l’articolazione del volume in tre parti distinte, ma ben collegate tra loro, Mari riesce ad illustrare e spiegare il pensiero di Gerardo Bruni, sovrapponendolo prima all’esperienza politica del Movimento Cristiano Sociale, di cui Bruni era fondatore e leader politico, e quindi alla concreta re-altà storica contemporanea del filosofo; in secondo luogo evidenziando i punti cardine della formazione del suo pensiero filosofico e, dunque, il suo pensiero politico; in conclusione, rendendolo an-cora più evidente con il riportare una cospicua serie di documenti prodotti dal Movimento a firma di Bruni.
Attraverso la prima analisi storica del Movimento Cristiano Sociale, Mari tende ad evidenziare come questa esperienza fosse per Bruni l’occasione di concretizzare la linea teorica, di matrice scolastica, o meglio neo-scolastica filtrata attraverso l’influenza di Maritain, in ambito politico. In definitiva, per Bruni, si trattava di mettere realmente insieme, in un contesto concreto e tangibile, etica, politica e fede cristiana.
Mari sviluppa l’intero percorso della formazione di Bruni, dal tomismo alla neo-scolastica, evidenziando l’autonomia della politica e dell’etica dalle idee religiose del cattolicesimo, la sua esperienza nel Partito Popolare di Sturzo ed il rapporto tra il concetto di personalismo comunitario ed il socialismo.
Nel pensiero di Bruni, secondo la ricostruzione di Mari, il ruolo della scolastica risulta essere di fondamentale importanza. Questa -lungamente studiata e fatta propria da Bruni-, col suo realismo, può inserirsi ed operare vitalmente all’interno del dibattito politico-sociale contemporaneo, in virtù delle sue idee filosofiche, del suo metodo di ricerca del vero, e non in virtù delle idee religiose del cattolicesimo da essa professato. Solo mantenendo la sua indipendenza intellettuale, la scolastica può cercare un dialogo con correnti filosofiche diverse e può condurre ad una teoria della convivenza. La scolastica per Bruni dev’essere “una filosofia disposta a giocarsi laicamente nella storia, pur senza perdere la propria matrice cristiana, evolvendosi con essa” [p. 81].
Si raffigura, dunque, un rinnovamento della scolastica, con l’adesione alle posizioni maritaianiane . Nel pensiero di Bruni, emerge, dunque, quel concetto di uomo, di società, che viene definito dal Mari come umanesimo socialista, derivante dal tentativo, che Bruni compie sulla scorta dell’interpretazione di Maritain, di attualizzare la neoscolastica, per metterla in rapporto dialogante con il mondo politico contemporaneo.
Si tratta, quindi, di un rinnovamento della scolastica, un tentativo di coniugare progresso e tradizione. La ragione che Dio dà all’uomo, nel crearlo, svela determinate verità dell’ordine ontologico e morale, e queste costituiranno la sua guida infallibile. Dalle verità eterne e dalle verità frutto di un pensiero nella storia, presenti nella storia del pensiero, l’uomo può dedurre altre verità, perché la storia oltre che magistra vitae è anche magistra veritatis [p. 82].
Scrive Mari: “Vi è […] da parte di Bruni la necessità realistica che il pensiero, la filosofia, possano incidere sulla qualità della vita e, per fare ciò, l’intreccio fra piano filosofico-teoretico, piano politi-co-sociale ed il piano religioso, pur nel rispetto delle rispettive peculiarità ed autonomie, è inevitabile” [pp. 85-86].
Il problema da risolvere su un terreno speculativo era quello del rapporto religione-politica e andava risolto affermando la distinzione e l’autonomia sul piano dell’azione, ma non dell’ispirazione. Distinzione che si traduce, sul piano operativo, per la Chiesa cattolica nella sola possibilità di chiedere al potere politico, un ambiente di libertà dove poter liberamente svolgere la propria missione spirituale [pp. 89-90].
Erede più fedele del popolarismo sturziano, Bruni ha ben chiari i limiti di un discorso filosofico-politico di matrice cristiana [p. 92].
La sua politica si definisce cristiana, perché aspira ad “incarnare storicamente i valori espressi dall’etica cristiana”, ma “non ha la certezza, né lo pretende, di esaurire in sé una fede o di esserne la giusta trasposizione storica”. È una politica che, “sapendo che non è possibile scindere la fede dalla politica, cerca comunque nell’etica l’ispirazione per la propria azione” [pp. 92-93].
Quello di Bruni fu il tentativo di costruire un progetto di socialismo cristiano. Il suo pensiero si sviluppa in una duplice prospettiva: personalista e comunitaria. Personalista perché centrata sulla persona, sulla sua dignità e sul suo sviluppo armonico. Comunitaria perché volta alla costruzione di un ordine sociale nuovo, più equo e meno conflittuale. L’orizzonte collettivo di cui parla Bruni non è la massa indifferenziata, né la classe, né lo Stato, ma è la comunità. Comunità che diventa, dunque, un ideale collettivo in cui i vincoli fra le persone sono molto forti, ma non in virtù della coercizione o di regole formali, bensì in nome di una comunione di sentimenti, di una solidarietà che rende fratelli Scrive Bruni nella conferenza Il nostro socialismo: “Il Partito cristiano-sociale è restato sempre fedele al socialismo della persona, contro l’individualismo liberale e contro il socialismo della classe. Il nostro socialismo vuole essere, nella sua essenza, educatore” [pp. 95-96].
Attraverso queste premesse, Mari giunge ad esplicare la propria visione cristiano-sociale, anche in questo caso analizzandone punto per punto le linee teoriche.
Il primo tassello della costruzione teorica di Bruni è il rapporto tra cristiani e società. La visione cri-stiano-sociale di Bruni, che s’inserisce nella consolidata tradizione del pensiero cristiano, che è appunto il comunitarismo, e raggiunge i suoi ultimi sviluppi con il personalismo, può definirsi un “mix organico e originale di tre grandi esperienze: quella neotomista, quella popolare e quella personalista e comunitaria, esperienze dove il punto comune è la fede” [p. 98]. La fede è vista come la luce che illumina l’azione, azione che, a sua volta, non può essere pura forma o puro formalismo o confessionalismo politico. La concezione di uno stato laico e democratico, nel quale convivono diverse forme religiose e culturali, richiede di agire da cristiani, ma cristiani laici, ovvero nel rispetto completo della diversità dell’altro. Sulla scia di Maritain per Bruni la politica cristiana è l’unica vera politica, perché non è una politica confessionale, né clericale, è politica del bene comune, “del bene di tutti per l’uguaglianza di tutti” [p. 100].
Per dare maggior fondamento alla sua interpretazione teorica, Bruni, analizzando il liberalismo ed il collettivismo, da un punto di vista anche storico, arriva a delineare i suoi concetti di società, Stato e bene comune.
Probabilmente il merito storico del liberalismo è stato quello di affermare il valore universale dell’individuo al di là di ogni razza, nazione e classe. Ma questo ha avuto un limite nel concepire la libertà esclusivamente in funzione soggettivistica.
Il limite speculativo e morale del liberalismo è stato quello di non comprendere che l’esistenza dell’individuo è -con probabile richiamo al “con-essere” di Heidegger- una “esistenza con” ed è in questa realtà di relazione che va verificato e promosso l’effettivo valore della libertà.
Il limite strutturale e morale dello Stato collettivista dei regimi totalitari è che esso non può assumere una funzione etica. Questo presupporrebbe che non fosse un’entità nata per conseguire un ideale, dunque un mezzo, ma, al contrario, che fosse un’entità prima, un ideale in sé, cioè un fine. Lo Stato non può essere un fine in sé in quanto è solo un mezzo per realizzare la socialitas [pp. 104-105].
Al centro della filosofia politica di Bruni, dunque, vi è la società. “Per società s’intende una unione di più; pluralità e unità costituiscono gli elementi della società. Esistono varie specie di unità; ma quella che entra nel concetto di società, non è l’unità che risulta dalla fusione dell’essere dei membri, ma dalla semplice unione del loro operare. La società umana […] dovrà avere per iscopo un bene comune come risultante di un “operare comune”. Il che implica necessariamente che tale comunanza non si ottiene senza una unione subbiettiva e senza unione obbiettiva; e cioè, senza un oggetto, scopo o bene comune verso il quale sia diretta coscientemente l’opera comune dei membri della società” [pp. 106-107]. Dunque, ‘bene comune’: ‘bene’, che implica di per sé una valutazione qualitativa, e ‘comune’, ovvero un bene diffuso a tutti i membri della società [p. 108].
Non considerando quale elemento centrale la massa, ma lasciando intatto l’individuo nel rapporto con l’altro, Bruni mette in evidenza il primato della persona umana. Per fondare, quindi, la propria visione politica, Bruni parte dalla concezione antropologica dell’uomo: “È l’uomo il senso di tutto il vivere sociale. La socialità ha senso in funzione dell’uomo, dunque è nell’uomo, inteso come unità di spirito e materia, che deve essere posto il centro sia dell’attività politica sia dell’attività sociale” [p. 109].
L’essere umano, per Bruni, risulta dall’unione del corpo e dell’intelletto. Ma come si sviluppa questa unione? Né nel senso materialista, ovvero di una confusione dei due elementi; né nel senso platonico di una netta separazione. Bruni riprende la concezione aristotelica della “semplice distinzione del corpo e dell’anima umana” [p. 10]. Di conseguenza non va dimenticato l’elemento spirituale, ovvero la salvezza eterna, ma non va dimenticato nemmeno l’elemento materiale della vita. “Per questo per il cristiano non c’è separazione tra cielo e terra” [p. 110].
La scienza politica del cristiano sarà, quindi, quella che gli detterà norme e principi per il persegui-mento del bene comune, temporale e materiale, ma subordinatamente alle regole della vita eterna. Sarà dunque “scienza […] unitaria, che nella nozione del Sommo Bene trova il suo principio unificatore” [p. 110].
I cardini del pensiero personalista sono, dunque, approfonditi da Bruni nel senso di un’originale interpretazione dell’intelletto. Con gli strumenti ricavati dal personalismo e dalla sua riflessione sull’essere umano, Bruni elabora una critica al socialismo reale marxista. Tre sono i punti fondamentali di tale critica: l’ateismo, lo statalismo, il dogmatismo con cui vengono proposte le dottrine marxiste.
A proposito del comunismo Bruni scrive: “noi siamo anticomunisti perché rinneghiamo l’anima materialista dell’ideologia comunista; perché rinneghiamo l’odio di classe -pur non disertando la lotta- e la dittatura classista. Perché il comunismo è un credo, una religione, opposta alla natura della persona umana quale è da noi concepita. Perché – in altre parole – è antipersonalista e, in pari tempo, coi suoi metodi di violenza e con le sue forme di collettivizzazione diretta da parte dei poteri pubblici, è incapace di realizzare una “comunità” di lavoratori vera e propria” [pp. 113-114].
Da qui il rilievo che i fondamenti cristiani del personalismo occupano nel pensiero politico di Bruni. Questo è la religione di un Dio che si fa uomo e che come uomo vive l’esistenza. Il Dio del Cristianesimo è un Dio vicino, che condivide la condizione umana. Per questo il Cristianesimo, scrive Mari “pur affermando doverosamente il primato dello spirituale, non deve mai dimenticare che è la religione di un Dio che sta in mezzo agli uomini, che si interessa degli uomini al punto da farsi come loro e che come loro lavora, un Dio che rifugge i potenti ma che è amico degli umili e degli oppres-si” [p. 115].
Di rilievo risulta, a questo punto, l’analisi della “mediocrità economica”, che caratterizza il pensiero di Bruni sui temi del lavoro e della proprietà.
La mediocrità economica è la condizione in cui l’uomo, sebbene riconosca che l’influenza delle condizioni materiali, non si esaurisce in esse: “vi è e vi deve essere nella vita dell’uomo un primato dello spirituale sul materiale” [p. 118].
Gli elementi cardini del pensiero economico di Bruni sono evidenziati da Mari in questi tre punti fondamentali:
- primato del lavoro sul capitale, ovvero affermazione della sovranità del lavoro, ma non consequenziale affermazione del parassitismo sociale;
- primato della responsabilità personale;
- primato del servizio del bene comune sul profitto.
Quella auspicata da Bruni è un’economia centrata sulla piccola proprietà da lavorare e, riguardo all’industria, centrata sulla socializzazione dei mezzi di produzione, ovvero non statalizzazione comunistica che crea un capitalismo di Stato, ma una partecipazione dei lavoratori alla proprietà dei mezzi di produzione [p. 119].
Riguardo alla proprietà privata, Mari evidenzia, nel pensiero di Bruni, la ripresa del pensiero di Pio XII e di san Tommaso, in particolare nell’affermare “che tutti gli uomini posseggono di usare dei beni materiali. Questo diritto d’uso domina tutti gli altri in economia, da quello di proprietà privata, a quello di commercio o di intervento dei poteri pubblici nell’ambito dei beni economici. […] Il capitalismo ha rarefatto la proprietà privata, il comunismo statolatria ha cercato di abolirla, il nuovo ordinamento cui punta Bruni è invece teso alla massima diffusione della proprietà, una proprietà talmente diffusa da diventare davvero di tutti e cioè tale da perdere sempre più la propria connotazione di privata per assumere sempre più quella di proprietà sociale” [pp. 120-121].
In quest’ottica s’inserisce anche la concezione del decentramento amministrativo e politico: di contro alla statalizzazione, alla sopraffazione dello Stato collettivo nei confronti dell’individuo, Bruni oppone la comunità. Una comunità di cui l’uomo possa sentire veramente ed interiormente di appartenere. Questo implica, politicamente, la creazione di organismi indipendenti tra loro, maggiormente articolati e territorialmente limitati, la cui autonomia “farebbe da utile contrappeso all’autorità della Regione, in quanto questa autorità verrebbe a essere ristretta alla sola funzione coordinatrice dei diversi enti autarchici compresi nella sua giurisdizione e non intralcerebbe il necessario movimento centripeto dello Stato” [p. 122-125].
L’elemento della laicità dello Stato torna in evidenza nell’analisi del significato dei Patti Lateranen-si. Di nuovo, dunque, da un evento storicamente concreto, Bruni, trae lo spunto per indicazioni teo-riche.
Bruni rifiuta la Chiesa politicizzata e la politica clericalizzata. Questo implica una presa di coscienza dei motivi teorici dell’autonomia del temporale storico, già a suo tempo teorizzata, che deve avere lo sfogo concreto in un’autonomia dell’azione politica dei cristiani nei riguardi della Chiesa, senza dover “rinunciare alla religiosità dello Stato e alla promozione di una società cristiana ma nell’aspirazione a costituire uno Stato aconfessionale” [p. 126]. Cardine di questa elaborazione teorica è il tomismo interpretato da Maritain. Un tomismo, quindi, aperto al dialogo ed al confronto. La laicità di Maritain è intesa come “autodirezione dell’ordine politico, autodirezione che deve essere praticata e messa in atto non solo nei confronti degli Stati o delle Chiese ma anche dei sistemi ideologici. […] Pretendere di far adottare dallo Stato nella sua totalità l’ideologia cattolica o marxista significherebbe introdurre nella vita politica degli elementi di turbamento, che la politica, di sua natura, non può sopportare” [p. 127].
Instaurare un regime veramente fondato su basi di uguaglianza, senza adottare una legislazione di favore verso la confessione cattolica, ma riconoscendo la stratificazione culturale cattolica della società italiana, di contro al dogmatismo ateo di socialisti e comunisti, è per Bruni l’unico modo di salvare l’essenza del cristianesimo, avendo la consapevolezza che politica e religione operano su due piani distinti [pp. 128-129].
Nel paragrafo sulla neutralità dello Stato, Mari chiarisce ulteriormente il concetto di laicità dello Stato, giungendo alla conclusione, poco prima anticipata: “Lo Stato per essere di tutti non deve cre-are situazioni di privilegio per nessuna Chiesa. Tuttavia Stato aconfessionale non significa Stato agnostico. L’identità italiana vede nel cristianesimo la fonte di una sensibilità verso l’uomo e i suoi diritti che il “bigottismo laico” non può ignorare, dunque uno Stato democratico custode della libertà e della dignità della persona, pur nella sua laicità, si può dire orientato verso il cristianesimo” [p. 132].
Senza soffermarsi ulteriormente sulla formazione del suo pensiero, si può dire, in conclusione, sulla base del lavoro di Mari, che il socialismo cristiano di Bruni diventa quindi un umanesimo socialista, un umanesimo di libertà, giustizia e fraternità, un umanesimo, integrale, etico, pluralista, personalista e comunitario che riconosca come legittimi i valori spirituali e esigenze materiali. E la passione verso il bene diventa la ragione autentica capace di unire “uomini di culture diverse verso un comune traguardo, meta di ogni vera grande politica sinceramente al servizio dell’uomo”. Il comune traguardo, ovvero nel suo pensiero conversione sulla verità è molto difficile, ma è un passaggio neces-sario per arrivare “dalla verità dei principi in sé alla verità nella storia”. E il cristianesimo di Bruni è sempre evidente nel suo pensiero. L’uomo è insieme materia e spirito; è non dimenticare che egli vive sempre due dimensioni. La chiave per una politica davvero a servizio dell’uomo. È un “uomo concreto che sperimenta la sua sete di trascendenza continuando tuttavia a vivere nel contempo an-che la propria materialità. Questo è il senso della politica, della buona politica, che è innanzitutto testimonianza, attraverso i fatti, di valori” [pp. 144-148].

Roberta Fidanzia

Marco Mari, Ispirazione religiosa e laicità della politica. L’esperienza cristiano-sociale di Gerardo Bruni. Edizioni Associate. Roma 2004.
Roberta Fidanzia

Recensioni, Editoria

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La nave dei folli

giovedì dicembre 21, 2006

Tiber II – Ponte Umberto I (lato via Zanardelli – Piazza Navona) riva opposta al Palazzaccio - Roma

Lo scorso 22 novembre si è svolto a Roma, lungo le rive del Tevere, un viaggio fantastico-multimediale attraverso la storia del '900.
Il viaggio, ispirato a "La nave dei folli" di Sebastian Brant, ha coinvolto artisti, musicisti e spettatori in una rappresentazione corale.

La prima presentazione risale alla Basilea del 1494. Illustrato da Durer in occasione del carnevale dell'Alta Renania, fu successivamente rappresentato da Bosch in un famoso quadro dallo stesso titolo.

Il testo originale di Brant narra l’assurdo viaggio di un gruppo di pazzi. Nel tempo ha finito per costituire un mito di congiunzione tra origini e modernità. Una icona dell’immaginario figurativo e una parabola che ha preceduto e inseguito le follie del Novecento, secolo insieme terribile e meraviglioso, vissuto – per mezzo delle sue potenti tecnologie – come pratica quotidiana dell’ordine, della cura, e continua insorgenza del disordine e della malattia.

Caratteristiche della scenografia attuale sono state spettacolarità, multimedialità e interattività.
Si è trattato di un viaggio tra 1500 immagini, fra le più significative della storia politica, sociale e culturale del ‘900, all’interno di una festa in maschera, carnevalesca, esaltata dal ritmo di una taranta suonata ininterrottamente per due ore dal noto gruppo musicale Mascarimirì.

L'evento è nato da un’idea di Alberto Abruzzese e realizzato dall’artista Ciriaco Campus in collaborazione con i corsisti del Master in Ideazione, Management e Marketing degli Eventi Culturali l'evento ha avuto inizio alle ore 20 circa, sulla banchina e a bordo della nave Tiber II, sulle rive del Tevere.

L’artista Ciriaco Campus ha voluto che tutti i partecipanti alla festa fossero vestiti rigorosamente in nero. Tra la folla si sono mossi pazzi, infermieri, dottori e dieci personaggi mascherati con teste di animali. Uno schermo all’ingresso della nave ha proiettato sequenze d'immagini del secolo scorso ed numerosi monitor giganti posizionati al suo interno hanno permesso la visibilità dello spettacolo in tutti gli ambienti. Dalla banchina una troupe ha ripreso l’intero evento, che si è trasformato nel set cinematografico di un film.

Chi vi ha partecipato è diventato parte integrante della performance. L'evento artistico si è così trasformato in un viaggio nella memoria novecentesca ed in una specie di carnevale del presente.
Roberta Fidanzia

Cultura, Eventi

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Dal torchio alla rinascenza

mercoledì dicembre 20, 2006

Le cinquecentine della Biblioteca del Seminario Vescovile di Lucera
saranno le protagoniste della Mostra Bibliografica in programma a Lucera, in Puglia, nella provincia di Foggia dal 23 dicembre 2006 al giugno 2007.
L'esposizione che è in programma al Museo Diocesano del Palazzo Vescovile e s'inaugura il 23 dicembre 2006 alle ore 10,30
La mostra, Con il titolo ''Dal Torchio alla Rinascenza'', è organizzata dalla Diocesi di Lucera-Troia, dall'Ufficio per i Beni Culturali Ecclesiastici, Biblioteca Diocesana, Sezione Seminario Vescovile di Lucera e dall'Associazione Terzo Millennio.
Angelo Gambella

Mostre, Rinascimento

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