Stauferstiftung Göppingen
Premio Stauferpreis 2008
Bando
La Fondazione Stauferstiftung Göppingen bandisce un premio scientifico per ricerche di storia e cultura
dell'epoca sveva.
La Fondazione Stauferstiftung è stata istituita da parte della Cassa di Risparmio (Kreissparkasse) di Göppingen su iniziativa del distretto-provincia (Landkreis) di Göppingen. La dinastia degli Svevi, dalla quale provennero tra il
1138 e il 1254 sette imperatori e re, traeva la sua origine dal monte Hohenstaufen ubicato nel distretto-provincia (Landkreis) di Göppingen.
La Fondazione Stauferstiftung ha lo scopo di tenere viva la memoria dell'epoca sveva come parte importante del Medioevo. Perciò incoraggia la ricerca sulla storia dell'epoca sveva in Europa bandendo un Premio scientifico dotato di 5.000 Euro, il quale solo eccezionalmente può essere suddiviso su più lavori.
• Possono fare domanda preferibilmente giovani studiosi.
• Possono essere presentati lavori sulla storia e cultura dell'epoca sveva già pubblicati o pronti per la stampa risalenti agli ultimi cinque anni precedenti la scadenza del bando.
• Tre copie dei lavori con un curriculum vitae dell'autore sono da inviare, se redatti in lingua tedesca al Geschäftsführer della Fondazione a Göppingen (Kreisoberarchivrat Walter Ziegler, Landratsamt Göppingen, Lorcher Str. 6, 73033 Göppingen), se invece si tratta di opere redatte in lingua italiana va inviata una copia al prof. Hubert Houben, membro del Comitato scientifico della Fondazione (prof. H. Houben, Universítà degli Studi di Lecce, Dipartimento
dei Beni delle Arti e della Storia, Viale San Nicola, Monastero degli Olivetani, I-73100 Lecce).
• Il premio sarà consegnato nell'ambito delle ventunesime Giornate sveve di Göppingen che si terranno nel novembre del 2008. Il vincitore del Premio nell'ambito della cerimonia di consegna terrà una conferenza.
• Scadenza per la consegna dei lavori è il 30 giugno 2007. I lavori vengono valutati dal Comitato scientifico della Fondazione il cui giudizio è inappellabile. Fondazione Stauferstiftung Göppingen (una Fondazione della Cassa di Risparmio di Göppingen)
— Premio Stauferpreis 2008
martedì febbraio 27, 2007
Angelo GambellaAccadde domani. Fra utopia e distopia
martedì febbraio 27, 2007
Accadde domani. Fra utopia e distopia contiene contributi di Giuseppe Prestipino, Ernesto Screpanti, Teresa Serra, Raniero La Valle, Fabrizio Giovenale, Carla Ravaioli e Enzo Scandurra.
Articolato in due parti, la prima dedicata al tema delle libertà sociali, la seconda dedicata alla tematica ambientalistica, il lavoro è “la risultante di una serie di incontri sia ristretti che pubblici su argomenti di viva attualità” (p. 7), aventi come obiettivo la formulazione di proposte di riforma pensate per i tempi medio-lunghi del futuro, e non la delineazione di percorsi di un’azione riformatrice rapida, “anche se non necessariamente guidata dallo spirito dell’utopia” (p. 7).
Nella prima parte, che riprende il titolo dal nome del gruppo di lavoro: Per una nuova Città del Sole, sono esposti temi riguardanti la fraternità planetaria, che potrebbe concretizzarsi in nuove forme di cittadinanza; il nuovo diritto delle genti, ispirato alla pace perpetua kantiana; ed, infine, il nuovo concetto giuridico-filosofico di bene pubblico, che non può essere identificato tout court con lo statuale o con il sociale. Nella seconda parte, intitolata Limiti naturali, sono affrontanti temi più strettamente legati all’attualità della necessità delle riforme: dalla nuova pianificazione urbanistica, naturalmente legata al problema ecologico; ai rapporti della nostra specie con la natura; ai problemi dell’equilibrio dinamico tra pubblico e privato, al fine di non involvere in una gabbia burocratica d’ispirazione weberiana o di corruzione semi-legalizzata. Questi i temi su cui gli Autori si sono confrontati, al fine di “poter formulare proposte per un futuro non vicino né troppo lontano” (p. 8).
Riferimenti costanti del volume sono i concetti di utopia e distopia, che diventano strumentali per la comprensione delle singole posizioni degli Autori, sebbene il volume non rappresenti una sintesi della letteratura utopico-distopica.
Cos’è l’utopia e cos’è la distopia?
Arrigo Colombo nel suo volume Utopia e distopia evidenzia come il non-luogo, l’utopia, concepita con il prefisso greco “eu”, sia il progetto storico della società giusta e fraterna, ovvero il progetto che l’umanità persegue poieticamente lungo tutta la sua storia. La distopia è, invece, da opporre all’“utopia”, così come il prefisso greco “dys” è l’opposto di “eu”, ovvero rappresenta la contrapposizione tra il male ed il bene. Quindi distopia è un modello di società perversa, costruito rovesciando il topos della società in atto per denudarne il vizio e proiettandolo non come la società buona cui tendere, ma come la società malvagia da cui difendersi. La distopia, in tal senso, non può essere un progetto per l’umanità. Può essere semmai perseguita da un gruppo di potere, da una minoranza oppressiva; ma per l’umanità, per la società, essa resta solo un modello da evitare o da abbattere.
Nella tensione tra quello che dovrebbe essere il modello di Stato da costruire e quello che è l’esempio da cui sfuggire, si concretizza il tentativo di rispondere alla necessità di trovare forme nuove di legittimazione e di organizzazione che forniscano alla realtà statuale ragion d’essere e scopi, e le consentano di realizzare sempre meglio l’uguaglianza, che è patrimonio della democrazia.
La prima parte, come si è accennato, offre una lettura del problema della libertà e delle libertà sociali in un’ottica incentrata sulla contemporaneità e sui suoi problemi sociali, politici ed economici. Si parte dall’attualizzazione della filosofia della libertà, letta nell’ottica del ripensamento dello stato sociale come “l’insieme delle condizioni economiche e politiche che rendono possibile l’estensione della libertà a tutti i cittadini, piuttosto che come di quelle che mirano a ridistribuire il benessere” (Dal benessere alla libertà, Ernesto Screpanti, p. 25), per trasformarla in un modello utopico in cui “la libertà sarà il valore per eccellenza, in primo luogo come sinonimo della dignità di ciascuno” (Giuseppe Prestipino, Il futuro possibile dei beni pubblici, p. 28). Nella costruzione del nuovo ordine politico utopico è necessario e doveroso “assicurare a tutti le stesse possibilità di fare, secondo le attitudini o inclinazioni di ciascuno, e le stesse possibilità di avere, secondo le proprie necessità vitali, culturali, ecc”. (Prestipino, p. 29).
La tensione utopia/distopia, modello a cui tendere/realtà da cui sfuggire, è al centro del saggio di Teresa Serra, Ripensare lo Stato tra teoria e realtà, che rappresenta il cuore del volume, stimolando il lettore a confrontarsi costantemente con la realtà effettuale delle cose alla luce di possibili soluzioni utopico-concrete a nuovi problemi. L’Autrice, in particolare, centra problemi cruciali quali la crisi della sovranità e la costituzione di nuove realtà istituzionali regionali, come l’Unione europea, chiedendosi, di contro, quali funzioni ancora debba e possa svolgere lo stato-nazione. Per far questo, in primo luogo, evidenzia un problema di fondo legato alla natura del modello utopico, che impone un continuo dinamismo del modello stesso, con un continuo adeguamento alla realtà. La sua natura normativa, invece, denuncia sempre e comunque una possibilità di divergenza tra lo Stato come realtà ed apparato funzionante e lo Stato come modello. Sono quindi i modelli distopico-utopici dello Stato apparato/realtà e lo Stato costruzione teorica ad essere continuamente presi in esame e rapportati tra loro. L’analisi di tali modelli viene attualizzata ed effettuata sullo sfondo dell’Unione Europea. Nel caso “Europa”, infatti, la duplice accezione del processo di costituzionalizzazione risponde anche alla distanza che separa la comunità europea da una costituenda società civile europea. Il modello proposto dalla Serra è un modello utopico, nel senso che si tratta di un modello a cui tendere, ma non è astratto, perché attento alle situazioni particolari e consapevole dell’impossibilità di ridurre all’unicum del modello tutti i casi storici. In questo modello elementi fondamentali sono il rispetto e la dignità umana, che esclude la stretta connessione tra diritto e cittadinanza e presuppone la necessità di una coesistenza duale tra una ideologia sopranazionale e una intergovernativa.
Non manca, nel volume, il tentativo di trovare una soluzione al problema religioso attraverso la sua proiezione nell’utopico futuro dell’accadde domani, in cui “ogni popolo ed ogni persona possa comunicare lietamente con gli altri verso il futuro, ognuno con e grazie al suo Dio” (Raniero La Valle, Il divino plurale, p. 84). Raniero La Valle, a dimostrazione della difficoltà di analizzare il presente senza confrontarsi con la letteratura utopica, offre una lettura dell’opera di Tommaso Moro: la “religione” di Utopia prevedeva la possibilità della convivenza di diverse religioni sulla base di una reciproca e pacifica tolleranza. In questa situazione, la legge “utopica” consentirebbe la difesa della libertà e dell’uguaglianza, in quanto intesa non come volontà del potere, ma come volontà senza passione. Pluralità e diversità pertanto traggono la loro garanzia dall’eguaglianza di fronte alla legge che le riporta all’identità, nel rispetto della diversità.
In questo passaggio epocale lo spazio giuridico europeo rischia di collocarsi in una sorta di terra di nessuno, di intermezzo sospeso tra ‘democrazia dell’identità’ e ‘democrazia della differenza’, di cui nelle pagine del volume sono illustrati molteplici esempi, uno per tutti la storia delle donne, in bilico tra filosofia dell’uguaglianza e filosofia della differenza.
La seconda parte del volume, come si è evidenziato all’inizio, indaga su tematiche d’attualità ecologico-politica. Sono analizzati i cambiamenti nei rapporti uomo-terra, soprattutto nella prospettiva dello sfruttamento delle risorse naturali. Particolare attenzione è dedicata alla teorizzazione di uno sviluppo realmente considerato –opposto a quello sconsiderato– dell’umanità, in riferimento alle risorse disponibili e, riguardo a quest’ultime, relativamente alla loro effettiva distribuzione. In questa direzione sono evidenziati alcuni elementi di fondo come la “contraddizione del capitalismo” (Fabrizio Giovenale, Rapporti uomo-terra: che cosa è cambiato, p. 180), della modernizzazione e dell’innovazione. Modernizzazione ed innovazione sono, dunque, analizzate alla luce di un “futuro possibile del vivere-nella-natura” (Giuseppe Prestipino, Equilibri naturali e vitali, p. 193), congiuntamente ad un possibile sviluppo sostenibile nei paesi del terzo mondo, che rappresenta la sfida, politica e non solo, del terzo millennio (Ernesto Screpanti, Quale sviluppo e per chi?).
Come una sorta di conclusione, l’ultimo saggio proposto è in realtà una tavola rotonda virtuale, in cui autori e relatori del gruppo di lavoro confrontano le proprie riflessioni circa le tematiche dell’ambiente e dello sviluppo.
Giuseppe Prestipino e Teresa Serra (a cura di), Accadde domani. Fra utopia e distopia Aracne, Roma 2005, pp. 224.
— Roberta Fidanzia
Articolato in due parti, la prima dedicata al tema delle libertà sociali, la seconda dedicata alla tematica ambientalistica, il lavoro è “la risultante di una serie di incontri sia ristretti che pubblici su argomenti di viva attualità” (p. 7), aventi come obiettivo la formulazione di proposte di riforma pensate per i tempi medio-lunghi del futuro, e non la delineazione di percorsi di un’azione riformatrice rapida, “anche se non necessariamente guidata dallo spirito dell’utopia” (p. 7).
Nella prima parte, che riprende il titolo dal nome del gruppo di lavoro: Per una nuova Città del Sole, sono esposti temi riguardanti la fraternità planetaria, che potrebbe concretizzarsi in nuove forme di cittadinanza; il nuovo diritto delle genti, ispirato alla pace perpetua kantiana; ed, infine, il nuovo concetto giuridico-filosofico di bene pubblico, che non può essere identificato tout court con lo statuale o con il sociale. Nella seconda parte, intitolata Limiti naturali, sono affrontanti temi più strettamente legati all’attualità della necessità delle riforme: dalla nuova pianificazione urbanistica, naturalmente legata al problema ecologico; ai rapporti della nostra specie con la natura; ai problemi dell’equilibrio dinamico tra pubblico e privato, al fine di non involvere in una gabbia burocratica d’ispirazione weberiana o di corruzione semi-legalizzata. Questi i temi su cui gli Autori si sono confrontati, al fine di “poter formulare proposte per un futuro non vicino né troppo lontano” (p. 8).
Riferimenti costanti del volume sono i concetti di utopia e distopia, che diventano strumentali per la comprensione delle singole posizioni degli Autori, sebbene il volume non rappresenti una sintesi della letteratura utopico-distopica.
Cos’è l’utopia e cos’è la distopia?
Arrigo Colombo nel suo volume Utopia e distopia evidenzia come il non-luogo, l’utopia, concepita con il prefisso greco “eu”, sia il progetto storico della società giusta e fraterna, ovvero il progetto che l’umanità persegue poieticamente lungo tutta la sua storia. La distopia è, invece, da opporre all’“utopia”, così come il prefisso greco “dys” è l’opposto di “eu”, ovvero rappresenta la contrapposizione tra il male ed il bene. Quindi distopia è un modello di società perversa, costruito rovesciando il topos della società in atto per denudarne il vizio e proiettandolo non come la società buona cui tendere, ma come la società malvagia da cui difendersi. La distopia, in tal senso, non può essere un progetto per l’umanità. Può essere semmai perseguita da un gruppo di potere, da una minoranza oppressiva; ma per l’umanità, per la società, essa resta solo un modello da evitare o da abbattere.
Nella tensione tra quello che dovrebbe essere il modello di Stato da costruire e quello che è l’esempio da cui sfuggire, si concretizza il tentativo di rispondere alla necessità di trovare forme nuove di legittimazione e di organizzazione che forniscano alla realtà statuale ragion d’essere e scopi, e le consentano di realizzare sempre meglio l’uguaglianza, che è patrimonio della democrazia.
La prima parte, come si è accennato, offre una lettura del problema della libertà e delle libertà sociali in un’ottica incentrata sulla contemporaneità e sui suoi problemi sociali, politici ed economici. Si parte dall’attualizzazione della filosofia della libertà, letta nell’ottica del ripensamento dello stato sociale come “l’insieme delle condizioni economiche e politiche che rendono possibile l’estensione della libertà a tutti i cittadini, piuttosto che come di quelle che mirano a ridistribuire il benessere” (Dal benessere alla libertà, Ernesto Screpanti, p. 25), per trasformarla in un modello utopico in cui “la libertà sarà il valore per eccellenza, in primo luogo come sinonimo della dignità di ciascuno” (Giuseppe Prestipino, Il futuro possibile dei beni pubblici, p. 28). Nella costruzione del nuovo ordine politico utopico è necessario e doveroso “assicurare a tutti le stesse possibilità di fare, secondo le attitudini o inclinazioni di ciascuno, e le stesse possibilità di avere, secondo le proprie necessità vitali, culturali, ecc”. (Prestipino, p. 29).
La tensione utopia/distopia, modello a cui tendere/realtà da cui sfuggire, è al centro del saggio di Teresa Serra, Ripensare lo Stato tra teoria e realtà, che rappresenta il cuore del volume, stimolando il lettore a confrontarsi costantemente con la realtà effettuale delle cose alla luce di possibili soluzioni utopico-concrete a nuovi problemi. L’Autrice, in particolare, centra problemi cruciali quali la crisi della sovranità e la costituzione di nuove realtà istituzionali regionali, come l’Unione europea, chiedendosi, di contro, quali funzioni ancora debba e possa svolgere lo stato-nazione. Per far questo, in primo luogo, evidenzia un problema di fondo legato alla natura del modello utopico, che impone un continuo dinamismo del modello stesso, con un continuo adeguamento alla realtà. La sua natura normativa, invece, denuncia sempre e comunque una possibilità di divergenza tra lo Stato come realtà ed apparato funzionante e lo Stato come modello. Sono quindi i modelli distopico-utopici dello Stato apparato/realtà e lo Stato costruzione teorica ad essere continuamente presi in esame e rapportati tra loro. L’analisi di tali modelli viene attualizzata ed effettuata sullo sfondo dell’Unione Europea. Nel caso “Europa”, infatti, la duplice accezione del processo di costituzionalizzazione risponde anche alla distanza che separa la comunità europea da una costituenda società civile europea. Il modello proposto dalla Serra è un modello utopico, nel senso che si tratta di un modello a cui tendere, ma non è astratto, perché attento alle situazioni particolari e consapevole dell’impossibilità di ridurre all’unicum del modello tutti i casi storici. In questo modello elementi fondamentali sono il rispetto e la dignità umana, che esclude la stretta connessione tra diritto e cittadinanza e presuppone la necessità di una coesistenza duale tra una ideologia sopranazionale e una intergovernativa.
Non manca, nel volume, il tentativo di trovare una soluzione al problema religioso attraverso la sua proiezione nell’utopico futuro dell’accadde domani, in cui “ogni popolo ed ogni persona possa comunicare lietamente con gli altri verso il futuro, ognuno con e grazie al suo Dio” (Raniero La Valle, Il divino plurale, p. 84). Raniero La Valle, a dimostrazione della difficoltà di analizzare il presente senza confrontarsi con la letteratura utopica, offre una lettura dell’opera di Tommaso Moro: la “religione” di Utopia prevedeva la possibilità della convivenza di diverse religioni sulla base di una reciproca e pacifica tolleranza. In questa situazione, la legge “utopica” consentirebbe la difesa della libertà e dell’uguaglianza, in quanto intesa non come volontà del potere, ma come volontà senza passione. Pluralità e diversità pertanto traggono la loro garanzia dall’eguaglianza di fronte alla legge che le riporta all’identità, nel rispetto della diversità.
In questo passaggio epocale lo spazio giuridico europeo rischia di collocarsi in una sorta di terra di nessuno, di intermezzo sospeso tra ‘democrazia dell’identità’ e ‘democrazia della differenza’, di cui nelle pagine del volume sono illustrati molteplici esempi, uno per tutti la storia delle donne, in bilico tra filosofia dell’uguaglianza e filosofia della differenza.
La seconda parte del volume, come si è evidenziato all’inizio, indaga su tematiche d’attualità ecologico-politica. Sono analizzati i cambiamenti nei rapporti uomo-terra, soprattutto nella prospettiva dello sfruttamento delle risorse naturali. Particolare attenzione è dedicata alla teorizzazione di uno sviluppo realmente considerato –opposto a quello sconsiderato– dell’umanità, in riferimento alle risorse disponibili e, riguardo a quest’ultime, relativamente alla loro effettiva distribuzione. In questa direzione sono evidenziati alcuni elementi di fondo come la “contraddizione del capitalismo” (Fabrizio Giovenale, Rapporti uomo-terra: che cosa è cambiato, p. 180), della modernizzazione e dell’innovazione. Modernizzazione ed innovazione sono, dunque, analizzate alla luce di un “futuro possibile del vivere-nella-natura” (Giuseppe Prestipino, Equilibri naturali e vitali, p. 193), congiuntamente ad un possibile sviluppo sostenibile nei paesi del terzo mondo, che rappresenta la sfida, politica e non solo, del terzo millennio (Ernesto Screpanti, Quale sviluppo e per chi?).
Come una sorta di conclusione, l’ultimo saggio proposto è in realtà una tavola rotonda virtuale, in cui autori e relatori del gruppo di lavoro confrontano le proprie riflessioni circa le tematiche dell’ambiente e dello sviluppo.
Giuseppe Prestipino e Teresa Serra (a cura di), Accadde domani. Fra utopia e distopia Aracne, Roma 2005, pp. 224.
I frati minori conventuali tra giurisdizionalismo e rivoluzione
lunedì febbraio 26, 2007
Il Centro Studi Antoniani e l'Istituto Teologico "S. Antonio Dottore" presentano a Padova, il 15 marzo, il libro di Isidoro Liberale Gatti dal titolo "I frati minori conventuali tra giurisdizionalismo e rivoluzione. Il P. Federico Lauro Barbarigo ministro generale dell'Ordine (1718-1801)".
Il volume esce per la collana delle Fonti e Studi Francescani XXIII per le edizioni del Centro Studi Antoniani di Padova.
Alla presentazione interverranno padre Luciano Bertazzo, direttore del Centro Studi Antoniani e padre Costanzo Cargnoni dell'Istituto Storico die Cappuccini (Roma) e Massimo Moretti, dell'Università degli Studi di San Marino.
L'evento è in programma presso la Sala dello Studio Teologico al Santo nel Chiostro della Magnolia della Basilica del Santo, il 15 marzo 2007 alle 16:30.
— Angelo Gambella
Il volume esce per la collana delle Fonti e Studi Francescani XXIII per le edizioni del Centro Studi Antoniani di Padova.
Alla presentazione interverranno padre Luciano Bertazzo, direttore del Centro Studi Antoniani e padre Costanzo Cargnoni dell'Istituto Storico die Cappuccini (Roma) e Massimo Moretti, dell'Università degli Studi di San Marino.
L'evento è in programma presso la Sala dello Studio Teologico al Santo nel Chiostro della Magnolia della Basilica del Santo, il 15 marzo 2007 alle 16:30.
Gli Ogam. Antico alfabeto dei celti
sabato febbraio 24, 2007
E' di imminente pubblicazione per la Keltia Editrice di Aosta, primo titolo della nuova collana "Le Albizie Rosse", Gli Ogam. Antico alfabeto dei celti, di Elena Percivaldi.
Dalla Prefazione:
(...) Di cosa si tratta esattamente? Di un alfabeto composto da 20 lettere divise in 5 gruppi di 4 ciascuno, incise su una superficie rigida, legno, osso e pietra. La particolarità dell'ogam rispetto ad altri alfabeti è che le lettere non hanno un aspetto, per così dire, "alfabetico", ma sono costituite da tacche incise orizzontalmente, verticalmente e obliquamente rispetto allo spigolo, oppure sotto forma di punto. Un sistema utilizzato dal III-IV secolo d.C. fino alle soglie dell'età moderna in Irlanda, in Galles, in Cornovaglia, in Scozia e sull'Isola di Man solo per scrivere epitaffi su pietre tombali o segnalazioni di proprietà su cippi di confine.
Ma chi inventò questo sistema di scrittura così poco pratico? Quando fu ideato? Perché? E con quali scopi? E' quello che ho cercato di spiegare in "Ogam. Antico alfabeto dei Celti", pubblicato per i tipi della Keltia Editrice di Aosta.
Non esistono, in Italia, studi dettagliati né monografie complete sull'argomento, e a dire il vero anche il problema più generale delle lingue e degli alfabeti in uso presso i Celti è stato affrontato solo di recente in maniera più o meno approfondita da studiosi del nostro Paese. Le ragioni di questo ritardo rispetto, ad esempio, al mondo anglosassone, francese e tedesco, non sono facilmente individuabili. Al di là delle ricerche che però sono rimaste confinate nell'universo ristretto degli specialisti, è solo negli ultimi quindici anni, cioè dopo la grande mostra ospitata nel 1991 a Venezia nella splendida sede di Palazzo Grassi, che anche in Italia l'attenzione di un numero sempre crescente di studiosi (e del grande pubblico) è stata attirata dai Celti, popolazione a lungo (e a torto) considerata marginale nella storia della Penisola (quando non addirittura dell'Europa).
In questo lavoro ho quindi cercato di ricostruire la storia e il senso dell'Ogam, dalle sue oscure origini al suo declino, fornendo anche un quadro generale delle lingue celtiche antiche (e moderne), nel cui contesto l'Ogam si è originato e sviluppato. Per farlo mi sono basata su mie ricerche originali, ma anche su studi (sempre, purtroppo, parziali) pubblicati in passato e di recente in Francia e nelle Isole britanniche: materiale irreperibile in Italia al di fuori degli Istituti di Filologia e di Glottologia delle Università.
(...) Questo saggio si propone dunque come il primo tentativo di sintesi originale sull'ogam in lingua italiana ed è stato pensato per essere accessibile non solo agli "addetti ai lavori" (che comunque troveranno nel vasto corpus di note e nella bibliografia i riferimenti per verificare le informazioni e i raffronti e per risalire alle fonti), ma anche ad un pubblico più vasto. Nostra speranza è che questo lavoro sull'ogam, sulla sua storia e sui suoi "misteri" possa fornire un ulteriore, piccolo contributo alla diffusione della conoscenza della civiltà celtica e alla scoperta (o riscoperta) della corposa eredità che essa ha lasciato nella civiltà europea.
— Angelo Gambella
Dalla Prefazione:
(...) Di cosa si tratta esattamente? Di un alfabeto composto da 20 lettere divise in 5 gruppi di 4 ciascuno, incise su una superficie rigida, legno, osso e pietra. La particolarità dell'ogam rispetto ad altri alfabeti è che le lettere non hanno un aspetto, per così dire, "alfabetico", ma sono costituite da tacche incise orizzontalmente, verticalmente e obliquamente rispetto allo spigolo, oppure sotto forma di punto. Un sistema utilizzato dal III-IV secolo d.C. fino alle soglie dell'età moderna in Irlanda, in Galles, in Cornovaglia, in Scozia e sull'Isola di Man solo per scrivere epitaffi su pietre tombali o segnalazioni di proprietà su cippi di confine.
Ma chi inventò questo sistema di scrittura così poco pratico? Quando fu ideato? Perché? E con quali scopi? E' quello che ho cercato di spiegare in "Ogam. Antico alfabeto dei Celti", pubblicato per i tipi della Keltia Editrice di Aosta.
Non esistono, in Italia, studi dettagliati né monografie complete sull'argomento, e a dire il vero anche il problema più generale delle lingue e degli alfabeti in uso presso i Celti è stato affrontato solo di recente in maniera più o meno approfondita da studiosi del nostro Paese. Le ragioni di questo ritardo rispetto, ad esempio, al mondo anglosassone, francese e tedesco, non sono facilmente individuabili. Al di là delle ricerche che però sono rimaste confinate nell'universo ristretto degli specialisti, è solo negli ultimi quindici anni, cioè dopo la grande mostra ospitata nel 1991 a Venezia nella splendida sede di Palazzo Grassi, che anche in Italia l'attenzione di un numero sempre crescente di studiosi (e del grande pubblico) è stata attirata dai Celti, popolazione a lungo (e a torto) considerata marginale nella storia della Penisola (quando non addirittura dell'Europa).
In questo lavoro ho quindi cercato di ricostruire la storia e il senso dell'Ogam, dalle sue oscure origini al suo declino, fornendo anche un quadro generale delle lingue celtiche antiche (e moderne), nel cui contesto l'Ogam si è originato e sviluppato. Per farlo mi sono basata su mie ricerche originali, ma anche su studi (sempre, purtroppo, parziali) pubblicati in passato e di recente in Francia e nelle Isole britanniche: materiale irreperibile in Italia al di fuori degli Istituti di Filologia e di Glottologia delle Università.
(...) Questo saggio si propone dunque come il primo tentativo di sintesi originale sull'ogam in lingua italiana ed è stato pensato per essere accessibile non solo agli "addetti ai lavori" (che comunque troveranno nel vasto corpus di note e nella bibliografia i riferimenti per verificare le informazioni e i raffronti e per risalire alle fonti), ma anche ad un pubblico più vasto. Nostra speranza è che questo lavoro sull'ogam, sulla sua storia e sui suoi "misteri" possa fornire un ulteriore, piccolo contributo alla diffusione della conoscenza della civiltà celtica e alla scoperta (o riscoperta) della corposa eredità che essa ha lasciato nella civiltà europea.
Scoperto insediamento medievale fra Basilicata e Puglia
sabato febbraio 24, 2007
Un gruppo di ricercatori del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) grazie all’impiego di tecniche di elaborazione di dati satellitari ha scoperto un insediamento medievale di una certa consistenza a Monte Irsi, ai confini tra Basilicata e Puglia. Già nel 1995, stavolta però con più tradizionali immagini aree, il CNR aveva individuato nella zona di Monte Serico, in Basilicata la 'forma urbis' di un villaggio medievale.
— Angelo Gambella
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